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LA CASE HISTORY

Vermentino, la storia di successo (ed il futuro) del vitigno che lega Sardegna, Toscana e Liguria

Numeri e qualità in crescita, tra investimenti di ricerca, aziende e vivaismo, per un vino già “re” dell’estate, che aspira ad essere molto di più

Il Vermentino è un vino-vitigno che è ormai simbolo dei brindisi estivi. Ma questa varietà che unisce le coste di Sardegna, Toscana e Liguria, e che è sempre più coltivata anche in altri Paesi del mondo, può diventare molto di più. Perché piace, è versatile sia dal punto di vista della vinificazione - capace di dare ottimi risultati sia tra i vini fermi che spumantizzata, sia per prodotti semplici e da bere giovani, che adatti ad invecchiare - che delle possibilità di abbinamento gastronomico. Un vino-vitigno che, a detta di alcuni, commercialmente potrebbe essere il nuovo Pinot Grigio o Prosecco d’Italia, o avvicinarcisi molto. Tema affrontato al “Vermentino Show” di scena a “VinoVip al Forte”, a Forte dei Marmi, nei giorni scorsi, by “Civiltà del bere” (e con il Vermentino che sarà protagonista di un video di WineNews, online nei prossimi giorni, ndr), con cantine come Antinori e Argiolas, Banfi e Cà du Ferrà, da Camigliano a Carpineto, da Collemassari alla Fattoria di Magliano, da Tenute Gregu a Guado al Melo, da Cantine Lunae a Mandrarossa, da Mazzei a Monteverro, da Mora e Memo a Poderi di Ghiaccioforte (Barone Pizzini), da Poggio al Tesoro (Allegrini) a Poggio al Tufo (Tommasi), da Rocca delle Macìe a Ruffino, da San Marzano a Santa Margherita Gruppo Vinicolo, Cantina Santadi, Serego Alighieri (Masi Agricola), Siddùra, Su’entu e Surrau.
Un vitigno da una grande storia, il Vermentino, come ha raccontato il professor Attilio Scienza (Università di Milano), con un presente brillante, come hanno spiegato Yuri Zambon (Vivai Cooperativi Rauscedo) e Luigi Bavaresco (Università Cattolica di Piacenza), e con un futuro enologico e commerciale importante, come sottolineato da Francesco Mazzei, presidente del Consorzio Vini Maremma, che ha investito molto sul Vermentino, e l’enologa Graziana Grassini.
“Il Vermentino è un vitigno storico, che è arrivato da Occidente, e non da Oriente, come la maggior parte delle varietà di uva da vino. Ha molte facce e molte forme - ha detto il professor Attilio Scienza - secondo gli scritti dell’ampelografo francese Victor Pulliat (vissuto nel 1800), il vitigno sarebbe originario della Spagna, da dove sarebbe giunto prima in Corsica e successivamente sulle coste liguri, toscane e francesi. Ci sono molti cloni di Vermentino, con grandi differenze anche da un punto di vista aromatico tra loro, una grande ricchezza del vitigno. Capace di dare non solo vini pronti da bere pochi mesi dopo la vendemmia, semplici e leggeri, ma anche più longevi, se si parte dal vigneto, e magari non in purezza, ma insieme ad altri vitigni come il Verdicchio per esempio. È generoso, va controllato nella sua abbondanza, esprime molte diversità anche in base a clima e territorio. E dopo fenomeni come Pinot Grigio e Prosecco, potrebbe diventare anche sui mercati internazionali un nuovo grande pilastro del made in Italy”. Una previsione importante e stuzzicante come il nome del Vermentino, che, secondo alcune ipotesi deriva da “fermento” per il carattere pungente e pizzicante del vino.
Che oggi ha assunto un carattere più moderno, anche grazie alla ricerca, come spiegato dal professor Luigi Bavaresco. “Il Vermentino è stato uno dei primi vitigni iscritti nel registro ampelografico nazionale. Ha molti nomi, ma due sinonimi ufficiali, Pigato e Favorita, uve che a livello di Dna sono identiche, ma è uno e trino. L’unica Docg è in Sardegna, quella del Vermentino di Gallura, ma nel resto di Italia è presente in una trentina di Doc e diverse Igt. Nel 2011/2012 ne è stato sequenziato il Dna, all’interno di un progetto finanziato dal Ministero dell’Agricoltura che volle indagare in profondità 51 vitigni italiani tra cui, appunto il Vermentino. La cui capacità di adattarsi al climate change, tema attualissimo, è anche raccontata nel libro “Vermentino - Vitigno dei Cambiamenti Cliamatici”, firmato dallo stesso Bavaresco, insieme a Mario Fregoni e Pier Paolo Lorieri, insieme ad altri 35 coautori.
Un vitigno che, sulla scia del successo dei vini a cui dà vita, sta scalando le classifiche e punta ad entrare nella “Top 10” dei vitigni più coltivati in Italia, come spiegato da Yuri Zambon di Vivai Cooperativi Rauscedo, leader del vivaismo vitivinicolo in Europa. “Il Vermentino è ormai coltivato in tutto il mondo, la selezione clonale ha puntato nel ridurne generosità produttiva e la sensibilità alle malattie come peronospora e oidio, alla ricerca di un grappolo più spargolo per gestirlo meglio. Ci sono tantissimi cloni, il mercato si sposta ciclicamente, ora siamo in una fase in cui il consumatore preferisce vini più facili da bere, bianchi e spumanti, perché il vino non è più solo una bevanda da pasto, ma anche da aperitivo o dopo cena. Guardando al mercato delle barbatelle di Vermentino, dopo anni di crescita, c’è stata una leggera flessione negli anni del Covid, ma poi la richiesta è ripartita in crescita, ed il Vermentino è la n. 12 tra le varietà più prodotte in Italia dopo capisaldi come Glera, Primitivo, Chardonnay, Sangiovese, Pinot Grigio, Merlot, Pino Nero, Syrah, Moscato Bianco, Barbera e Sauvignon Blanc. E guardando al futuro, anche il Vermentino è tra le varietà per cui stiamo studiando e cercando varietà resistenti ai patogeni. Oggi stiamo lavorando su 31 cloni che arrivano da migliaia di genotipi, per arrivare prima possibile ad una varietà resistente che possa diventare utile nella commercializzazione e nel mercato”.
E se come spiegato dall’enologa Graziana Grassini, la forza del Vermentino “è nella sua capacità di dare risultati importanti sia con i vini fermi che con gli spumanti, e sia con vini pensati per essere bevuti a pochi messi dalla vendemmia che per essere longevi e con affinamenti anche di uno-due anni”, a confermare il successo del Vermentino sono i numeri del Consorzio Doc Maremma guidato dal presidente Francesco Mazzei e dal direttore Luca Pollini. Secondo cui oggi sono 8.250 gli ettari coltivati a Vermentino, di cui oltre 4.850 in Sardegna, 1.900 in Toscana (principalmente in Maremma), 550 in Liguria, ma anche 564 in Sicilia, che inizia ad investirci, e ancora qualche centinaio di ettari si trova in Piemonte, in Umbria, nelle Marche, nel Lazio ed in Puglia. Altro Paese dove la coltivazione è importante è la Francia, con 6.035 ettari tra Provenza, Corsica e Languedoc-Roussillon, ma il vitigno inizia a farsi notare anche in Australia, California e non solo. Ed oggi, in Maremma, con 14.119 ettolitri, rappresenta il 27,7% del vino imbottigliato nel territorio. “Penso che il Vermentino sia un vitigno che merita più attenzione - ha detto Francesco Mazzei - lo dicono i numeri stessi, bisogna lavorarci di più. Come Consorzio lo stiamo facendo (di recente è stata introdotta la menzione Superiore per caratterizzare i vini più invecchiati, minimo 2 anni dalla vendemmia, e con rese minori e un disciplinare più stringente rispetto alla versione “base”, ndr), è un vitigno divertente, stimolante, è “simpatico” al mondo, molto gastronomico, sta penetrando dappertutto, e sta diventando molto interessante anche sul mercato. La Doc Maremma è nata nel 2011, il Consorzio nel 2014, abbiamo 450 soci di cui 110 verticali, su un territorio molto grande, con 9.000 ettari di vigneti, su cui insistono anche Denominazioni come Morellino e Montecucco. Quasi tutti i nostri soci già coltivavano Vermentino, e quindi anche guardando questo, e guardando ai numeri, ci abbiamo investito, ma senza voler creare mode che poi passano, perché non sono le Denominazioni che fanno i vini, ma i vini che fanno le Denominazioni. Abbiamo fatto tanti investimenti in qualità, anche per premiarla, come il “Vermentino Gran Prix”, che stimola tutti a migliorare per stare nella “Top 10”. Abbiamo anche un consulente “consortile” dedicato al Vermentino che va nelle aziende, ed il prossimo progetto è quello di far partire uno studio per la caratterizzazione territoriale del Vermentino. Sicuramente oggi è l’elemento più dinamico della Maremma Toscana, parliamo già di oltre 2 milioni di bottiglie sotto la Doc Maremma, ed ha ancora un grande bacino nella Igt Toscana, quindi c’è uno spazio di crescita molto, molto importante. Il suo futuro è nelle nostre mani e nelle nostre capacità”.

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