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Con oltre 3.800 membri nella sola sede di Londra, il club si rivolge a una comunità prevalentemente maschile, con età media di 50 anni: il 74% dei soci sono uomini, il restante 26% donne, e il 23% fa parte del club fin dalla sua apertura, a testimonianza di una fidelizzazione solida e duratura, che privilegia vini pronti alla degustazione e si affida sempre più al giudizio di sommelier e peer review (recensioni tra pari), ridimensionando il ruolo dei critici tradizionali. I soci mostrano una crescente autonomia nelle scelte: molti dichiarano di affidarsi più a piattaforme come CellarTracker e Wine-Searcher che ai punteggi dei critici, adottando un approccio “ibrido” tra opinioni esperte e feedback della community, in linea con una tendenza a “bere meno, ma meglio”. Nato con l’obiettivo di offrire bottiglie d’eccellenza a prezzi contenuti, il 67 Pall Mall ha esteso la propria presenza a Verbier (Svizzera) e Singapore, con nuove aperture previste in città-chiave come Bordeaux, Beaune, Melbourne e Shanghai entro il 2030, a conferma di una visione sempre più globale.
Federico Moccia, Head of Wine Operations London spiega come “la regione che sta suscitando sempre più interesse è il Sudafrica, grazie ad un eccellente rapporto qualità-prezzo. In termini di valore, è davvero difficile da battere. Tra i vitigni più promettenti spicca lo Chenin Blanc, ma anche il Syrah e persino il Pinot Noir stanno guadagnando terreno. Il Syrah sudafricano, in particolare, viene spesso percepito come più fresco rispetto a quello prodotto in regioni storiche come la Valle del Rodano. I nostri soci continuano ad apprezzare denominazioni prestigiose come Côte-Rôtie e Cornas, ma non con la stessa frequenza di dieci anni fa. In generale, i vini più strutturati del Rodano - come lo Châteauneuf-du-Pape - sono considerati di buona estrazione e di buon tenore alcolico, caratteristica che oggi non sempre incontra i gusti di chi cerca maggiore equilibrio e bevibilità”. Rispetto a 10 anni fa, il report evidenzia una crescita significativa nel consumo di vino proveniente dall’Italia, con un aumento del 37,5%, seguito da quello della Spagna (+31,4%) e del Sudafrica (+26,1%).
Particolarmente significativo è il boom dell’English Sparkling Wine, che ha registrato un incremento del +79% in volume dal 2015, nonostante l’elevato costo percepito. In particolare, nel 2023 il club ha venduto 2.742 bottiglie di English Sparkling Wine, contro 11.198 di Champagne. Pur riconoscendo la crescente qualità dei vini inglesi, i membri segnalano che “il prezzo elevato ne limita la diffusione, sebbene l’interesse e il prestigio della categoria siano in costante ascesa”.
Come confermato anche dall’andamento delle ultime campagne, inoltre, il sistema “en primeur” di Bordeaux, un tempo pilastro dell’investimento enologico, appare in forte declino: molti lo considerano ormai troppo oneroso e speculativo. “I soci preferiscono orientarsi verso vini di qualità immediatamente godibili, cercando valore in denominazioni meno blasonate, ma promettenti, come i territori “satellite” della Borgogna passando dai Grand Cru ai Village Wines o da Puligny-Montrachet a St-Aubin”, afferma il report. Ma si evidenzia anche che il 51% dei membri del club continua a comprare “en primeur”, anche se molto meno di prima, il 32% non lo fa e solo il 17% lo fa più di prima.
Ancora, il grado alcolico sotto il 14%, è il parametro tecnico più monitorato: oltre un quinto dei soci lo controlla prima dell’acquisto, preferendo vini più bilanciati “per gusto e sobrietà”. Sul fronte dei vini naturali, in particolare, la posizione è prudente: il 56% dei soci li giudica “un’interessante nicchia, ma incoerente”, il 36% “non li apprezza affatto” e solo il 7% dichiara di “berli con piacere”, segno che la categoria fatica ancora a conquistare la fiducia del pubblico più esperto. Il cambiamento climatico, poi, è citato da quasi la metà dei membri come la principale preoccupazione per il futuro del vino, per il rischio di perdita di tipicità, innalzamento del grado alcolico e standardizzazione dei sapori in regioni storiche come Bordeaux, Borgogna o Barolo, mentre la sostenibilità è apprezzata ma vista con sospetto per possibili fenomeni di greenwashing. Cresce la domanda di bottiglie leggere e packaging meno impattanti, ma anche la consapevolezza che la sostenibilità debba essere intesa in senso più ampio, includendo pratiche etiche e riduzione della carbon footprint.
Il 38% dei soci, infine, indica l’aumento dei prezzi come il principale problema, temendo che i fine wine diventino inaccessibili alle nuove generazioni ed ai consumatori con redditi medi, afferma il report. “Temiamo che i grandi vini diventino inaccessibili non solo agli appassionati, ma anche ai giovani consumatori, con il rischio che solo i super-ricchi possano permetterseli”, si legge tra le testimonianze raccolte. Guardando al futuro, il report prevede una stagnazione dei prezzi e un ulteriore calo dell’interesse per l’“en primeur”, con l’83% dei soci che ha ridotto o abbandonato del tutto questo tipo di acquisto. L’attenzione si sta spostando verso nuove aree considerate promettenti per il prossimo decennio: Borgogna (40%), Italia (35%), Sudafrica (23,6%), Spagna (23,2%), Inghilterra (22,5%) e Germania (20,0%). Perché il consumatore di oggi, anche quello di fine wine, è sempre più curioso, critico e indipendente, e questo orientamento influenzerà profondamente le scelte future nel mondo del vino.
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