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VINITALY 2012 - “DALLA RUSSIA CON AMORE” IN TERMINI DI SUCCESSO PER LE ETICHETTE ITALIANE, MA L’INCOGNITA DEL “CUSTOMS PROFILE” CONTINUA A RAPPRESENTARE UN PROBLEMA IRRISOLTO. L’ANALISI DI ANATOLY KORNEYEV, VICE DIRETTORE SIMPLE

Ci sono delle resistenze della dogana e in seno ai ministeri competenti - spiega Anatoly Korneyev, vice direttore di Simple, una delle società di import più importanti della Russia, che fattura 100 milioni di euro realizzati al 60% con vini italiani (da Frascobaldi a Banfi da Allegrini a Tasca d’Almerita, da Umani Ronchi a Berlucchi, da Pio Cesare a Tenuta dell’Ornellaia, solo per citarne alcuni) - non sta, però, succedendo niente di nuovo. Il problema del “customs profile” (ovvero un prezzo minimo (differente per le diverse categorie) al di sotto del quale non è possibile introdurre vino in Russia) continua a restare sul tappeto. Speriamo che arrivi una decisione ragionata, ma bisogna essere attivi specialmente voi, dai produttori ai politici”.

Si tratta di una criticità che rischia di compromettere uno dei mercati più promettenti per il vino italiano che, non a caso fa parte dei cosiddetti Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina), e che anche in una congiuntura economica particolarmente delicata ha fatto registrare un incremento delle importazioni di vino del Bel Paese quasi del 50% sul 2010. Una questione che era giunta alla ribalta la scorsa estate ma che poi non sembra aver trovato più un seguito decisionale definitivo.

Ma, ricordiamolo, al giro di vite fiscale rappresentato dal “custom profile” si sono poi aggiunte nuove rigidità legate alle licenze all’import (che hanno diminuito il numero delle società di importazione da 2.800 a 1.800 nel giro di un paio d’anni), strumento anch’esso varato per garantire maggiori controlli sugli acquisti.

Il mercato russo per i vini italiani continua a rappresentare uno sbocco commerciale decisamente interessante. L’afflusso del nettare di Bacco del Bel Paese in Russia è “sempre in crescita - prosegue Korneyev - dipende soltanto dai canali. Dove abbiamo dei limiti purtroppo è sul canale dell’horeca, invece per il mass-market c’è un grosso futuro, ma molto dipende anche dal modo di percepire il mercato russo da parte dei produttori italiani che devono essere attivi ma non troppo e devono ascoltare la voce degli operatori locale. Quando dico mass-market - puntualizza il vice direttore di Simple - parlo di un contenitore dove ci sono molte categorie e dove il vino italiano è ben presente ma sempre in cima alla piramide qualitativa. Certo il peso della gdo si sente anche in Russia, qui la qualità è media e i prezzi raggiungibili, ma quando si tratta di grandi marchi posto numero 1, soprattutto dopo la crisi che ha sfavorito i grandi cru francesi, c’è decisamente l’Italia”.

In direzione di una maggiore diffusione dei consumi di vino in Russia, si stanno spostando molte delle aziende più importanti di import come la “Simple”, che dal palcoscenico di Vinitaly, ha annunciato la volontà di preparare una proprio “label” che, a detta del direttore della società di importazione Maxim Kashirin “non avrà altro ruolo che quello di “apripista” per le etichette che arrivano in Russia, nel caso di Simple, specialmente dall’Italia”. A rilanciare il consumo dei vini italiani partecipa anche la diffusione, sembrerebbe un controsenso, delle acque minerali italiane che, specialmente nel difficile canale horeca sono un ottimo veicolo di diffusione dei vini. Simple sta poi potenziando la sua forza di distribuzione nelle regioni russe, alla ricerca di uno sviluppo di pari importanza di quello già consolidato di Mosca e san Pietroburgo. E per il 2014 si aspetta un ritorno in termini di fatturato di 17 milioni di euro.

In generale, nel mercato russo sulle 46 etichette italiane presenti, a vincere per diffusione sono quelle delle bollicine, mentre c’è un tendenziale rallentamento dei rossi e un rilancio dei bianchi, favorito, in parte dalla forza degli spumanti. Su 11 milioni di ettolitri di consumo complessivo di vino in Russia, più della metà è rappresentato dal vino russo, importato dall’estero e di cattiva qualità (e questo è uno dei motivi più importanti che hanno sostenuto l’introduzione del “custom profile”). E se il prezzo medio del vino importato si attesta su 2,5 euro al litro, quello dei vini italiani si trova invece alla confortante quota di 4,38 euro. Le regioni più spendibili nel mercato russo sono Toscana, Vento e Sicilia, con l’Asti in crescita esponenziale.

I marchi più venduti da“Simple” sono invece, per volume, Castello Banfi, Colterenzio, Ruggeri e Frescobaldi e, per valore, La Scolca e Tenuta San Guido. A livello generale, svetta fra i marchi più venduti del Bel Paese in bottiglia Martini, seguito da Campari, Antinori, al terzo posto, Caldirola, Cantine Riunite e Tenuta San Guido.

Una classifica, probabilmente, dalla coerenza tutta russa, in cui le società d’import sono impegnate in un difficile lavoro di “universalizzazione” della propria offerta, in grado di comprendere il “top wine” accanto alla produzione “entry level”.

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