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VINITALY 2012 - MERCATO USA: ISTRUZIONI PER L’USO MA NON MANCANO I CAMBIAMENTI. DAL DECLINO DEL PESO DEI PUNTEGGI E DEL COSIDDETTO “GUSTO AMERICANO”, ALLA CRESCITA DELLA SENSIBILITÀ PER PRODOTTI PIÙ GENUINI

Italia
Vino: il "sogno italiano" illustrato dal vignettista Emilio Giannelli

Che il mercato a stelle e strisce sia, probabilmente, il più importante per le etichette del Bel Paese, è una questione fuori di dubbio. Lo dicono i numeri: nel 2011, l’Italia si conferma regina delle esportazioni di vino negli States, con un +13% in quantità sul 2010 (2,5 milioni di ettolitri) e un +16% in valore (1,25 miliardi di dollari). Ma non solo. L’Italia detiene il 28,4% della quota di mercato di vini stranieri in volume, ma il 34,3% in valore, a grande distanza dall’Australia, Paese n. 2 per i vini importati in Usa. E allora “Cosa devono fare i produttori italiani per vendere più vino negli Stati Uniti?” A questa domanda, che è anche il titolo del convegno targato Veronafiere, di scena oggi a Vinitaly, hanno cercato di rispondere alcuni fra i più importanti personaggi del mondo del vino Usa, confrontandosi in una discussione che non poteva avviarsi senza ribadire che “il mercato americano è il più importante - ha spiegato Sergio Esposito giornalista e Ceo di Italian Wine Merchants - per i “brand” italiani. La forza del marchio che si guadagna negli Stati Uniti è il biglietto da visita per i mercati del resto d’America e per il mondo”.
Ma, d’altra parte, “il mercato americano è complesso - afferma David Francke, direttore di Folio Fine Wine - e non è approcciabile se non si tiene conto del cosiddetto “sistema a tre livelli” (importatore - distributore - rivenditore). In pratica si tratta non di un mercato unico ma di 50 mercati diversi. Ogni stato ha infatti le sue leggi sul commercio degli alcolici, ma il “sistema a tre livelli” è il minimo comune denominatore che accomuna tutti gli stati. E non è possibile, per legge, scavalcare una delle tre figure che lo compongono. Fondamentale, pertanto - ha sottolineato Francke - conoscere il mercato nei suoi dettagli, cioè conoscere le leggi di ogni stato e quelle federali”.
Per chi già vende i suoi vini negli Stati Uniti “il futuro è positivo - ha dichiara Giuseppe Lo Cascio, brand manager di WineBow Import - il vino italiano è quello che possiede il potenziale maggiore. I vini fermi crescono del 40% e gli sparkling wines del 35%. I vini pregiati crescono del 15% e, in particolare Amarone e Brunello, segnano una ulteriore crescita del 5%. I vini italiani sono più facili da capire di quelli francesi per il consumatore a stelle e strisce, accompagnano la cucina italiana, i cui ristoranti in America sono gli unici che non chiudono e che sono percepiti come una sorta di contenitore della cultura enogastronomica italiana. Si registra - ha aggiunto Lo Cascio - una tendenza del consumo che passa dalla birra al Prosecco fino ad arrivare ai vini più pregiati del panorama enologico tricolore. I vini italiani più richiesti in questo momento - conclude il brand manger di WineBow - sono quelli del meridione, nella versione da vitigni autoctoni e i classici, Amarone e Brunello su tutti”.
In generale, però, il mercato americano, che, senza tanti giri di parole resta il mercato per eccellenza per ogni genere merceologico, in fatto di vino non fornisce risposte univoche e definitive. “Difficile stabilire con precisione cosa comprano i consumatori di vino americani, perché il mercato americano resta molto frammentato - ha sottolineato Francke - e caratterizzato da un desiderio di “esplorazione” sui marchi e le tipologie, specialmente da parte dei giovani, più aperti e intenzionati a capire quei vini. Possibile, invece, determinare la fascia di prezzo più praticata, quella dei 15 dollari, in un mercato costantemente attestato sui 9 milioni di consumatori regolari di vino”.
Certo è che qualche nuova tendenza sta emergendo e lo ha notato Alison Napjus, wine writer di Wine Spectator: “sicuramente è cambiato qualcosa nelle preferenze tipologiche dei clienti americani: cresce l’interesse verso i vini da vitigni autoctoni italiani, un panorama ricco e sfaccettato, perché c’è il desiderio di bere qualcosa di nuovo e di diverso da quello che è stato bevuto dai loro genitori”.
Un impatto deciso arriva anche da quello che succede su internet, non dentro il fenomeno dei “social network”, ma proprio a livello di commercio elettronico. “I consumatori di vino on line, che acquistano bottiglie attraverso il nostro sito - ha detto Rodolphe Boulanger del sito www.lot18.com - hanno per il 50% un’età inferiore ai 45 anni. Dato che il costo per la spedizione è quello che incide maggiormente sugli ordini, non invita a comprare i vini da 7 dollari. I nostri ordini, infatti, mediamente sono per vini da 22-23 dollari, quindi vini pregiati come Amarone e Brunello, che, ed è questa la nuova tendenza, sono consumati da clienti giovani. Tra di loro c’è voglia di sperimentare - ha sottolineato Boulanger - una sperimentazione però non casuale, ma frutto di una sempre maggiore voglia e capacità di informarsi. In questo senso, internet rappresenta la possibilità concreta di avere più risorse e punti di vista per imparare a bere ed apprezzare il vino”.
Internet ha margini di crescita immensi e “il produttore deve esserci e raccontare la propria storia. Internet sta aprendo possibilità fino a poco tempo fa impensabili, come, per esempio, le degustazioni via skype. Ma i consumatori americani - ha sottolineato Francke - che, tendenzialmente stanno facendo sempre più acquisti on-line, non sembrano ancora convinti di comprare vino sulla rete, perché il vino va assaggiato”.
Sul piano pratico, quindi, l’economia reale continua a prevalere. “Bisogna continuare a vendere a New York, perché se riesci a vendere lì poi puoi vendere in tutta l’America - ha spiegato Lars Leicht, vice presidente Banfi Usa - ma ti trovi nel luogo di maggiore concorrenza. Arrivare nel cuore degli Stati Uniti, per esempio in Kansas, è complicato, ma lì ti trovi meno pressato dai competitor e puoi essere favorito. I vini italiani, poi, riescono a vendere bene anche in California e San Francisco, nonostante, in quegli stati vengano prodotti i vini più importanti degli Stati Uniti. Sul piano distributivo, evidentemente anche in Usa il peso dei supermercati sta crescendo - ha concluso Leicht - e il mercato si sta polarizzando: da una parte le grandi catene di supermarket per l’acquisto dei vini per tutti i giorni e dall’altro i vini esclusivi che vengono comprati nelle enoteche”. Senza dimenticare, come ha ribadito Lo Cascio, che “negli Usa, più che in altri luoghi, il mercato è fatto da relazioni personali e contatti fisici”.
Ma dal “fronte” della rete arrivano altre sollecitazioni: “fino a 15 anni fa libri e riviste rappresentavano i mezzi d’informazione privilegiati per la cultura del vino - ha commentato Boulanger - adesso c’è internet, non c’è un unico canale, non c’è più una via proncipale. I punteggi ai vini li mettiamo nelle nostre presentazioni, ma inseriamo anche recensioni nostre. Perché probabilmente è più stimolante - ha concluso Boulanger - comprare e bere un vino con una storia o con un prezzo sorprendente, piuttosto che consumare sempre un vino da 90 punti”.
D’accordo anche Napjus di Wine Spectator: “più che sui punteggi, il consumatore sembra attualmente orientato all’equilibrio fra prezzo e qualità. La fascia più gettonata è quella fra i 17 e i 23 dollari”. Ma le cose stanno mutando anche “dal punto di vista del gusto - ha aggiunto - il palato americano sta diventando più sofisticato e la costruzione di un vino sugli schemi del cosiddetto “gusto americano” può ancora avere successo ma a breve, perché è molto più importante imbottigliare le cose migliori prodotte in azienda”.
Un segnale che, in qualche modo, riflette un “nuovo corso” Usa dove “ piano piano, sta arrivando l’idea di un vino che non s’impone su ciò che mangiamo e - ha segnalato Francke - grazie al movimento verde, specialmente in certe zone come nello stato di San Francisco, cresce anche il consenso verso vini più genuini”.

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