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VINO, ANALISI E TRACCIABILITA’: FRANCESCO PAVANELLO, DIRETTORE LABORATORI UNIONE ITALIANA VINI: “CAPIRE ORIGINE E VITIGNO DA ANALISI DELLA BOTTIGLIA E’ POSSIBILE CON BANCHE DATI SUFFICIENTI DI CONFRONTO, E A OGGI NON CE NE SONO … PARLIAMO DEL FUTURO”

Italia
Francesco Pavanello, a capo dei laboratori dell’Unione Italiana Vini

“Se si è costituita una banca dati di “vini testimone”, fatta di parametri analitici legati all’aroma, ai polifenoli, al terreno e ad altri elementi, allora è possibile creare una griglia di appartenenza. Senza di questa ci si può riferire a dati di letteratura in materia, ma sono molto più deboli”. Francesco Pavanello, direttore dei laboratori dell’Unione Italiana Vini (Uiv), spiega così il suo punto di vista sulla possibilità di verificare l’origine di un vino dall’analisi di quello contenuto in una bottiglia. E lo stesso concetto, spiega Pavanello, vale per l’individuazione dei vitigni da cui è ottenuto quel vino: “scientificamente, in assenza di una banca dati di uve, di mosti, di vini sicuramente appartenenti a una determinata area, a un vitigno o anche a un’annata, è impossibile creare in maniera insindacabile una corrispondenza”.

“Nel momento in cui io costituisco tutto questo patrimonio di dati, a meno di una incertezza che dipenderà dalla numerosità di campionamenti fatti, allora potrò dire se quel vino appartiene o no a quel vitigno o a quella zona. E la stessa cosa - continua Pavanello - se si tratta di capire se un vino è monovitigno o meno, perché anche per questi parametri analitici degli isotopi, degli zuccheri o altro, non esiste un valore unico, ma degli intervalli di appartenenza. Per cui - spiega - si può trovare che vini Merlot hanno dei contenuti di antociani più bassi di quelli da uve Sangiovese, ma comunque ce li hanno. Allora è evidente che, o io sostituisco completamente un prodotto, per cui è talmente eclatante la differenza tra uno e l’altro che posso dire questo è Sangiovese e questo è Merlot, oppure, nel momento in cui aggiungo un 10-20% di Merlot, non riesco a distinguerlo dal Sangiovese, perché rientra nel campo di variabilità naturale”.

“Dal punto di vista della validità legale - continua Pavanello - non sono metodi ufficialmente riconosciuti, ma è evidente che se uno prova la distintività di un determinato elemento, col metodo che abbiamo detto, questo può essere valido anche in sede legale, perché dall’altra parte dovrebbero dimostrarne la non validità. Il giudice accetta la ricostruzione scientifica anche se non è ufficiale, spetta poi all’accusato smontare questo tipo di approccio”.

All’estero esistono precedenti in questo senso?

“In Germania per quanto riguarda l’annacquamento, piuttosto che per il Pinot Grigio e l’acido scichimico, ci sono state delle azioni ma di carattere più commerciale che di tipo legale. Per esempio, nel caso del Pinot Grigio, si è riusciti a contestare i dati proposti perché la base statistica era troppo bassa e gli intervalli troppo ristretti, e non tenevano conto della variabilità naturale del Pinot. Si è passati dai 15-20 milligrammi/litro di acido scichimico ammessi, a 30-35 milligrammi, ma San Michele all’Adige ha detto di avere una banca dati con certi Pinot che ne avevano anche 30, e quindi si è contestato questo tipo di approccio. È chiaro che la dove non c’è possibilità di contestare scientificamente, le cose vanno avanti per la loro strada”.

“Quello di cui stiamo discutendo - chiosa Pavanello - è il futuro, non il presente, perché servono queste banche dati, una volta costruite le quali si comincia a ragionare”.

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