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LO STATO DELL’ARTE

Vino italiano: dopo il recupero del 2021, outlook positivo anche per il 2022, nonostante tutto

Report 2022 di Mediobanca: Riunite-Giv, Iwb e Botter-Mondo del vino leader per fatturato, Antinori primo “privato”, Frescobaldi n. 1 per redditività

Cantine Riunite-Giv, con 635,2 milioni (+9,7% sul 2020), Italian Wine Brands a 423,6 milioni di euro (dopo le acquisizioni di Enoitalia ed Enovation Brands Inc) ed il polo Botter-Mondodelvino (controllato dal fondo Clessidra) a 415 milioni (+19,3%) al top per fatturato, dopo tante operazioni di “mergers & acquisitions”, sono i nuovi big player del vino italiano, con Antinori che, con 265 milioni di euro (+24,6%), si conferma la prima realtà privata e familiare del vino italiano, e sul podio della redditività (17%), insieme a Santa Margherita (21,3%) e Frescobaldi (25,6%). Ancora, sul fronte degli aumenti di fatturato nel 2021, Tenute Piccini domina la scena con un +61% sul 2020 che la colloca davanti al gruppo Lunelli (+57,6%), a Terra Moretti (+47,6%), a Serena Wines 1881 (+40,1%) per chiudere con il +32,7% di Villa Sandi. Mentre alcune realtà si confermano con una propensione all’export soverchiante rispetto al mercato italiano: Fantini Group tocca il 97,4%, Ruffino il 94,5% e il polo Botter-Mondodelvino il 91,1%. In uno scenario in cui, dopo un 2021 in complessiva crescita, nonostante le difficoltà di questi mesi, con effetti della guerra, inflazione e logistica che hanno “sostituito” le conseguenze del Covid tra le principali problematiche, il 2022 previsto in crescita dai produttori di vino, con una stima del +4,8% (che arriverebbe al 5,6% per la sola componente export). A spingere le vendite, secondo le attese, saranno ancora, soprattutto, le bollicine (+5,7% i ricavi complessivi, +7,5% l’export) mentre i vini fermi si aspettano un +4,6% (+5,3% l’export). Più scettici sul futuro gli operatori esposti sul canale off trade (Gdo e Retail), mentre il maggior ricorso alla vendita diretta garantisce maggiore sicurezza. Con le aspettative positive sull’export migliorate soprattutto dai mercati vicini dei Paesi Ue. È, in sintesi, lo stato dell’arte che emerge dalla annuale “Indagine sul settore vinicolo nazionale” del Centrostudi Mediobanca, che riguarda le 251 principali società di capitali italiane con un fatturato 2020 superiore ai 20 milioni di euro e ricavi aggregati pari a 9,3 miliardi di euro, pari all’85,3% del fatturato nazionale del settore.
Come sottolinea Mediobanca, dunque, nel 2021 le tante operazione di acquisizione e fusione che hanno riguardato il vino italiano, hanno modificato la classifica dei big per fatturato. La leadership di vendite nel 2021 resta appannaggio del gruppo Cantine Riunite-GIV, con fatturato a 635,2 milioni (+9,7% sul 2020). Al secondo posto, la Italian Wine Brands (423,6 milioni di euro) che sale di cinque posizioni dopo l’acquisizione di Enoitalia e della statunitense Enovation Brands Inc. Completa il podio il polo Botter-Mondodelvino (Clessidra) in crescita del 19,3% sul 2020 a 415 milioni. Seguono altre cinque società con ricavi superiori a 200 milioni di euro: la cooperativa romagnola Caviro, il cui fatturato 2021 pari a 389,9 milioni di euro è cresciuto del 7,7%, la trentina Cavit (fatturato 2021 pari a 271 milioni di euro, +29,2% sul 2020), la toscana Antinori (265 milioni di euro, +24,6% sul 2020), la veneta Santa Margherita (220,6 milioni, +28,3%) e la piemontese Fratelli Martini che ha realizzato una crescita del 5,4%, portandosi a 219,4 milioni di euro. A chiudere la “top 10” per fatturato, ancora, il gruppo Zonin 1821, con 198,5 milioni di euro (+11,3%) e la cooperativa trentina Mezzacorona a 196,5 milioni di euro (+1,5%).
Dai conti aziendali emergono le specificità regionali. Nel 2020, il miglior Roi (il ritorno sugli investimenti, ndr) tocca alle aziende piemontesi (8,2%), seconda posizione per quelle venete (5,5%) e sul gradino più basso del podio le toscane (4,4%). I produttori toscani, però, eccellono nella marginalità: con un Ebit margin al 14,6% distanziano i piemontesi (9,8%) ed i lombardi (6,7%). In Toscana anche la maggiore stabilità finanziaria, con i debiti finanziari pari ad appena il 22,5% del capitale investito. Grandi esportatori i produttori piemontesi (72,2% del fatturato) e toscani (63,8%). Nel 2020 la maggiore proiezione internazionale ha salvaguardato le vendite dei produttori piemontesi (+10,8%) spinte dall’export (+20,1%) ma non è riuscita a fare altrettanto per quelli toscani (-11,2% in totale). Recupero della Toscana nel 2021 con vendite in crescita del 24,9%. In avanzamento anche i produttori lombardi (+22,4% le vendite totali e +23,8% quelle oltreconfine) favoriti dalla maggiore diffusione degli spumanti (46,1% del fatturato).
I dati di Mediobanca, ancora, confermano che il 2021, almeno per i maggiori produttori di vino italiani, è stato decisamente positivo, con un aumento del fatturato del 14,2% (+14,8% il mercato interno, +13,6% l’estero), un Ebit margin in lieve aumento al 6%, rispetto al 5,4% del 2020, con il risultato netto è passato dal 4,2% al 4,3% del fatturato. I vini frizzanti (+21%) hanno accelerato più dei vini fermi (+12,4%) mentre le cooperative hanno contenuto la crescita al +9,2% (+19,6% le non cooperative). Tra i mercati hanno prevalsto quelli più vicini, ovvero i Paesi Ue con il 41,2% dell’export, davanti al Nord America (34,1%). Il 2021, aggiunge ancora Mediobanca, ha preservato il canale Gdo che, stabile al 35,6% del mercato, è cresciuto a valore del 13,5%, ma soprattutto è arrivata la ripresa dell’Horeca. (+28,1%), che passa dal 15,6% al 15,9%.Due i trend in consolidamento: la premiumizzazione dei consumi e la maggiore attenzione alla sostenibilità, con aumenti a doppia cifra per i vini “Icon” (+33,2%) e Premium (+20,2%), e con aumenti più contenuti per i vini “Basic” (+8,7%), pari a metà delle vendite complessive. Sul fronte della “sostenibilità”, tiene il bio, con vendite 2021 in aumento dell’11%, per una quota di mercato del 3,3%; balzo in avanti per il vino vegan (+24,8%) al 2,2% del totale, e cresce l’interesse anche per i vini naturali (+6,9%) e biodinamici (+2,4%), ma che valgono, ciascuno, appena l’1% del mercato.

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