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WINE & FOOD - “ITALIA APPETIBILE PER INVESTITORI STRANIERI”: COSI’ GLI ANALISTI DELL’ISTITUTO DI CREDITO FRANCESE, CREDIT AGRICOLE. “IN ITALIA 400.000 ADDETTI E PRODUZIONE ANNUA EQUIVALENTE A 127 MILIARDI; IN FRANCIA, 150 MILIARDI E 412.500 ADDETTI”

L’industria agroalimentare, un fiore all’occhiello dell’Italia che deve fare i conti con le fragilità strutturali delle imprese familiari e far fronte al processo di consolidamento in atto. I problemi di successione “prevedibili a breve termine e la tendenza del settore alimentare a privilegiare il raggruppamento e la complementarità dell’offertà” potrebbe, infatti, stimolare l’appetito degli investitori sia italiani che stranieri. Emerge da un report del Credit Agricole su un settore che in Italia “riveste grande importanzà” in quanto rappresenta il secondo settore dopo quello delle costruzioni meccaniche. 400.000 addetti contribuiscono a una produzione annua equivalente a 127 miliardi di euro, un valore inferiore ma paragonabile ai dati francesi: 150 miliardi e 412.500 lavoratori.

La dispersione delle imprese, rilevano gli analisti dell’Istituto di credito francese, “è un tratto distintivo del settore agroalimentare italiano”. A parità di fatturato, l’industria alimentare italiana conta oggi un numero di imprese 10 volte maggiore rispetto al Regno Unito. Nel prossimo futuro, sostengono gli analisti del Credit Agricole, “la posta in gioco” per il settore è preservare il valore aggiunto che rappresenta, “anche perseguendo lo sviluppo oltre i confini nazionali, ma accettando il consolidamento e l’ingresso graduale di capitali esteri”.

Al pari dell’industria italiana nel suo complesso, il settore agroalimentare italiano, rilevano gli analisti del Credit Agricole, è caratterizzato da una marcata frammentazione, con una persistente preponderanza di imprese a carattere familiare. Il numero complessivo di dipendenti di imprese di trasformazione alimentare è leggermente più alto in Italia che in Francia: 70 000 considerando panifici, rosticcerie ... Tuttavia, le aziende che contano più addetti sono meno numerose: il rapporto Rouault ha rilevato che, nel 2005, le imprese con più di 20 dipendenti erano 3.552 in Francia e soltanto 2.719 in Italia. Inoltre, le società di grandi dimensioni, con un organico di oltre 250 persone, in Francia sono quasi il triplo, anche se l’agroalimentare italiano vanta anch’esso diverse aziende molto grandi, alcune delle quali occupano posizioni dominanti, anche a livello mondiale.

Prodotti lattiero-caseari, dolciumi e vino rappresentano il 30% del fatturato del settore agroalimentare italiano. Subito dopo viene l’industria della carne, principalmente i salumi, un altro settore che riflette un know-how specifico italiano (Prosciutto di Parma e di San Daniele, salame, mortadella).

Il settore lattiero-caseario, rilevano gli analisti, “è particolarmente rappresentativo della creazione di valore aggiunto nell’agroalimentare italiano”. L’industria italiana dei latticini è nata in un contesto di deficit strutturale della produzione nazionale, per via di un forte orientamento verso prodotti ad alto valore aggiunto, in particolare i formaggi a denominazione di origine e alcuni prodotti freschi, con il ricorso all’importazione per il resto. Delle 35 denominazioni controllate, le due principali, ossia Parmigiano Reggiano e Grana Padano, rappresentano il 70% dei volumi prodotti e utilizzano da sole il 37% della produzione lattiera nazionale. La quota di Parmigiano e Grana Padano destinata all’esportazione (il 30%) è un buon indicatore della notorietà internazionale di questi formaggi: il valore all’esportazione raggiunge i 775 milioni di euro, pari al 40% dell’export italiano totale di formaggi (che ammonta a 1,9 miliardi di euro).

In termini di volumi, però, il primo formaggio esportato resta la mozzarella, con 108.000 tonnellate sulle 260.000 prodotte. Va notato che, per i prodotti a denominazione di origine, le prime tre Dop europee sono italiane (Grana, Parmigiano e Prosciutto di Parma), per un fatturato complessivo di oltre 2,5 miliardi di euro … L’industria dolciaria è, al secondo posto, in termini di fatturato nel comparto agroalimentare italiano. Considerata la scarsa disponibilità di materie prime nel mercato interno (zucchero, cacao, nocciole ...), questo risultato è riconducibile al know-how industriale e al valore aggiunto. È in questo settore che troviamo la prima azienda alimentare italiana, il gruppo familiare Ferrero (Ferrero, Nutella, Kinder, Mon Chèri, Tic Tac) che, pur generando solo il 30% del fatturato in Italia, rappresenta comunque il 20% dell’intero settore nazionale di dolciumi e zucchero. Il gruppo Perfetti Van Melle (lecca lecca Chupa Chups, caramelle Mentos ...), seconda impresa del settore, vanta un fatturato di 2,2 miliardi di euro, di cui un terzo realizzato in Italia.

L’Italia è al primo posto della classifica mondiale delle esportazioni di vino, in termini di volume. Regione privilegiata per clima e suolo, terza come superficie ma in competizione con la Francia per il vertice della classifica dei volumi prodotti, l’Italia è soprattutto il primo esportatore mondiale per volumi, con la Germania e gli Stati Uniti come destinazioni privilegiate. In termini di valore, tuttavia, l’Italia resta ancora lontana dai livelli della Francia (4,4 contro 7,6 miliardi di euro nel 2010) e la caduta della domanda americana seguita alla crisi del 2008 ha indotto gli operatori italiani ad abbassare i prezzi per preservare il flusso di scambi commerciali.

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