La passione degli italiani per la pizza è così radicata che in quattro famiglie su dieci (40%) si prepara in casa, magari ricorrendo all’uso di farine speciali o di ingredienti gourmet. Un simbolo dell’Italia a tavola conosciuto in tutto il mondo, per un fatturato globale in costante crescita, tanto da aver raggiunto nel 2024 un valore record attorno ai 160 miliardi di euro. Parola di un’indagine Coldiretti-Ixè, con dati Vpa Research, diffusa in occasione del “World Pizza Day” 2025 che si celebra domani, 17 gennaio.
Se si guarda al dato italiano, nel complesso la pizza genera un fatturato che ha oltrepassato i 15 miliardi di euro, come sottolineato dalla Coldiretti. L’occupazione nel settore riguarda più di 100.000 lavoratori a tempo pieno, cifra che sale a 200.000 durante i fine settimana. Ogni anno in Italia vengono prodotte 2,7 miliardi di pizze, il che implica un consumo annuo di 200 milioni di chili di farina, 225 milioni di chili di mozzarella, 30 milioni di chili di olio d’oliva e 260 milioni di chili di salsa di pomodoro. La passione per la pizza, nata a Napoli, è comunque ormai un fenomeno globale, con gli Stati Uniti che detengono il primato dei consumatori, con 13 chili pro capite all’anno, mentre in Europa sono gli italiani a guidare la classifica, con 7,8 chili annui. Seguono gli spagnoli con 4,3 chili, i francesi e i tedeschi con 4,2, i britannici con 4, i belgi con 3,8, i portoghesi con 3,6 e gli austriaci, che con 3,3 chili annui, chiudono la classifica. Non a caso, nel dicembre 2017, l’“Arte dei Pizzaiuoli napoletani” è stata inserita nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità dall’Unesco, riconoscendo così il legame profondo tra questa tradizione e la cultura italiana.
La preparazione fai da te risponde alle nuove tendenze di mercato verso le pizze gourmet e artigianali che stanno influenzando i comportamenti d’acquisto, con i consumatori che preferiscono gusti unici e ingredienti di alta qualità. Un esempio sono le farine di grani antichi salvati dall’estinzione grazie al lavoro degli agricoltori, ma anche l’aggiunta di prodotti a Denominazione di origine o a chilometro zero, alla salsa di pomodoro ed alla mozzarella made in Italy. La pizza in casa risolve, peraltro, anche il problema dell’originalità degli ingredienti in un’Italia dove quasi due pizze su tre servite sono preparate con prodotti provenienti da migliaia di chilometri di distanza senza alcuna indicazione per i consumatori, come mozzarella lituana, concentrato di pomodoro cinese, olio tunisino o farina da grano ungherese. È anche per questo che Coldiretti ha lanciato una grande mobilitazione per una legge europea di iniziativa popolare per l’etichettatura di origine obbligatoria su tutti i prodotti alimentari in commercio nella Ue.
In alternativa, c’è il take away: su Deliveroo, piattaforma leader dell’online food delivery - presente in più di 1.800 Comuni e in grado di raggiungere oltre 40 milioni di italiani - nel 2024 il numero delle pizzerie partner è aumentato significativamente, in corrispondenza di un aumento di ordini di pizza di oltre il 20% sul 2023. E nella “Top 10 geografica” dei capoluoghi di provincia che amano di più la pizza - numero degli ordini di pizza sul totale degli ordini - dominano città di piccole e medie dimensioni. In testa troviamo Rovigo, Campobasso, Nuoro, seguite da Foggia, Isernia, L’Aquila, Avellino, Matera, Crotone e Latina. In cima alle preferenze, la fanno da padrona tre classici intramontabili: la pizza Margherita, la Diavola e la Capricciosa. “Il mercato della pizza è cresciuto - spiega Ylenia Esposto, Operation manager Berberè dei fratelli Matteo e Salvatore Aloe che, partiti da Bologna nel 2010, contano oggi 20 punti vendita in Italia, tra Milano, Torino, Roma, Bologna, Firenze, Modena e Rimini e 3 nel Regno Unito, a Londra - i clienti cercano la qualità sia nei punti fisici che nel delivery, servizio oramai imprescindibile, e che non è solo una fonte di ricavi aggiuntivi, ma un’importante leva di marketing che ti fa conoscere anche a chi non si reca direttamente nei locali”. “Un tempo, la pizza era considerata solo acqua farina e sale, oggi si tratta invece di un prodotto gastronomico di qualità semplice nel suo consumo, ma ricercato negli ingredienti - sottolinea Antonio Lubrano, uno dei soci di Assaje, che hanno aperto la prima pizzeria a Milano nel 2017 e, oggi, contano 10 punti vendita tra Lombardia, Piemonte, Friuli e Trentino - le pizzerie in questi anni si sono evolute: noi puntiamo sulla ricerca di prodotti di qualità sempre elevata con Presìdi Slow Food, eccellenze del territorio e sulle lievitazioni. Un delivery efficiente permette di far arrivare questa qualità fino a casa”.
Il finale dolce non è mai appartenuto al mondo pizza per decenni, ma negli ultimi anni la situazione si è rovesciata: da quando cioè la pizzeria è diventata anche un luogo dove passare una serata fra amici o in famiglia. Sono apparse così le prime pizze dolci. In alcuni casi, semplicemente paste fritte con un po’ di cioccolata; in altre, pizze al forno con un ingrediente cremoso dolce. Soprattutto a partire da dopo il Covid, alcuni pizzaioli hanno iniziato ad offrire costantemente un finale dolce, percorrendo due strade: la prima, più semplice, acquisendo dolci e gelati dall’esterno; la seconda, lavorando sugli impasti e gli ingredienti per ottenere vere e proprie pizze dolci, con risultati molto interessanti. Inoltre, alcuni hanno iniziato a produrre panettoni, altri, gelati in proprio. Finora il tema non è mai stato approfondito e “50 Top Pizza” ha deciso di farlo, il 21 gennaio, nella prossima edizione del “Sigep World - The World Expo for Foodservice Excellence” di Italian Exhibition Group alla Fiera di Rimini (18-22 gennaio), con un seminario-discussione con maestri pizzaioli come Francesco Calò, Simone De Gregorio, Salvatore Lioniello, Francesco Pompilio, Errico Porzio, Massimiliano Prete, Pier Daniele Seu e Lorenzo Sirabella.
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