Se per 1 prodotto realmente made in Italy ce ne sono 3 “falsi” nel mondo, per il vino, che quando si parla di contraffazione si considera poco, pur essendo la voce più importante dell’export agroalimentare, il rapporto è stimabile in 1 a 1. Per ogni bottiglia di vero vino italiano, ce n’è una contraffatta, irregolare o che in qualche modo richiama l’italianità, indiscutibilmente un valore aggiunto quando si parla di tavola e di life style, senza avere niente a che fare, però con il Belpaese. È la stima di Giuseppe liberatore, vice presidente Federdoc: “non è un fenomeno marginale, tutt’altro. Ed è difficile quantificare il danno economico. E se in alcune situazioni, una volta scoperto un illecito, si può agire, in altre c’è poco da fare - spiega a WineNews - perché se uno in California registra il marchio privato “X Chianti” (la denominazione del vino più imitata, ndr), non ci sono accordi a livello Ue - Usa che lo impediscano. Senza contare i tanti italiani che sono emigrati, negli anni, e hanno cominciato a produrre cibi e vini e chiamarli come sì fa nelle loro terre di origine”. Quindi, al di là di tutte le normative, iniziative e campagne informative a livello nazionale, è in fase di negoziati internazionali che si gioca la partita. E qui, la grande ricchezza di prodotti a denominazione o a indicazione geografica di vini e cibi italiani diventa, paradossalmente un punto di debolezza per il Belpaese.
“Servono risorse economiche per monitorare i mercati. Ma serve anche una politica più efficace in difesa delle nostre produzioni certificate, che non sono solo il fiore all’occhiello, ma anche l’economia reale del nostro agroalimentare. E se a livello europeo si può operare in maniera incisiva, e si sta lavorando anche sul fatto che se in un Paese dell’Unione viene trovato un prodotto contraffatto le autorità di quello Stato intervengano per sanzionare o toglierlo dal mercato, a livello mondiale non è ancora possibile. Il problema è che quando ci confrontiamo con altri Paesi, questi ci chiedono tutela al massimo per qualche decina dei loro prodotti, e noi ne proponiamo migliaia”.
“Serve coraggio - spiega ancora liberatore, che è anche presidente Aicig, l’associazione dei Consorzi di Tutela delle produzioni Dop e Igp italiane - dobbiamo fare un’analisi interna e individuare i nostri vini e i nostri prodotti che realmente sono colpiti da contraffazione e hanno bisogno di tutela al livello mondiale. È vero che tutti i prodotti vanno protetti, ma a livello diverso: che interesse ha un produzione certificata ma piccolissima, di vino o di cibo, che viene assorbita quasi completamente dal suo territorio d’origine, ad essere protetta a livello internazionale? Se facessimo questo discorso riusciremmo a selezionare quelle 50-60 produzioni, qui marchi collettivi che hanno davvero bisogno di essere protetti nel mondo, e alla fine potremmo essere più efficaci in un Doha round o nello stipulare accordi tra Ue e Paesi terzi. Dobbiamo selezionare chi proteggere, altrimenti così non proteggiamo nessuno. Mentre se ci concentriamo su quelle produzioni che fanno mercato e che davvero sono imitate all’estero, proteggiamo l’economia agroalimentare e vinicola del Paese”.
La riprova? Proprio oggi il Commissario Ue all’Agricoltura Ciolos ha firmato in Cina l’accordo per la registrazione di 10 prodotti Dop e Igp europeri nel Paese asiatico (per l’Italia, solo Grana Padano e Prosciutto di Parma) “in cambio” di 10 prodotti cinesi in Europa. “Dobbiamo selezionare chi proteggere - chiosa liberatore - altrimenti non proteggiamo nessuno. Mentre se ci concentriamo su quelle produzioni che fanno mercato e che davvero sono imitate all’estero, proteggiamo l’economia agroalimentare e vinicola del Paese”.
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