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LA RIFLESSIONE

Ristoranti, i più colpiti dalla crisi Covid-19, saranno avanguardia della nuova socialità

Necessarie misure immediate per tenere vivo un settore che è spina dorsale dell’economia italiana, fondamentale per vino e agricoltura dei territori
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Ristoranti, i più colpiti dalla crisi Covid-19, saranno avanguardia della nuova socialità

Linfa vitale dell’economia e della socialità italiana, tra i primi attrattori di turismo, pilastro strategico anche per il vino a più alto valore aggiunto (tanto da essere target di tutti i produttori che puntano sulla qualità), la ristorazione italiana, capace di valorizzare al massimo la filiera agricola di eccellenza del Paese, è il settore, insieme al turismo, più colpito dalla crisi Coronavirus, e dal condivisibile “lockdown” messo in atto dal Governo italiano (e via via da tutti i Paesi colpiti nel mondo), per arginare il contagio.
Il dato di fatto è che, da settimane, e ancora per settimane, i ristoranti d’Italia sono chiusi. E chi riesce a lavorare con l’asporto sopravvive all’oggi, ma di certo non compensa le perdite dovute a questa sospensione forzata della normalità. E ora, sebbene tutte le ipotesi della cosidetta “Fase 2” del contenimento del Covid-19 mettano temporalmente in fondo alla lista bar e ristoranti tra le attività che potranno riaprire i battenti, è un dato di fatto che la politica debba tenere conto di queste imprese anche nell’immediato. Per farle arrivare vive alla ripresa delle attività che, comunque, almeno in un primo periodo, dalla lunghezza incerta, sarà stravolta, con limitazioni di accesso, spazi da ridisegnare per garantire le distanze di sicurezza, coperti da ridurre e così via.
Prima misura necessaria è quella di iniettare liquidità nelle imprese, e questo le istituzioni devono farlo subito, con concretezza, attraverso le banche, per fare fronte ai danni che ogni giorno questo settore subisce (le perdite di ristorazione e hotellerie, secondo diverse stime, si aggireranno sui 20 miliardi di euro nel 2020, ndr).
Ma si parla anche di una moratoria degli affitti, di sgravi contributivi per evitare il più possibile i licenziamenti, e non solo. Nel pieno di un’emergenza sanitaria mondiale senza precedenti, pensare alla ristorazione italiana non è un esercizio di stile o una difesa corporativistica, perchè vuol dire pensare al futuro dell’economia dei territori, soprattutto quelli agricoli e vinicoli.
Perchè, come detto, dalla ristorazione passa gran parte del fatturato delle cantine italiane che fanno qualità ed investono nel territorio, mantenendolo sano e bello (e che oggi, a loro volta, che l’horeca bloccata, respirano a fatica tra gdo ed e-commerce, che registrano dal canto loro crescite a doppia cifra, ndr), così come passa tanta della sopravvivenza degli artigiani del cibo di qualità e delle produzioni agricole tipiche, spesso storiche e recuperate proprio grazie all’attenzione della ristorazione
(come grani antichi, ortaggi di antica coltivazione e fortemente legati ai territori di produzione, formaggi dalle produzioni esigue che senza uno sbocco nella ristorazione sparirebbero, o ancora dalla riscoperta e dalla rivalutazione di razze antiche ed autoctone di animali da carne, per fare degli esempi).
Come ricorda lo chef n. 1 d’Italia, Massimo Bottura sulle pagine de “Il Foglio”, “la cucina, come i mercati, rappresenta la cultura di un popolo, attorno ad un micro ristorante come l’Osteria Francescana a Modena abbiamo sviluppato un turismo gastronomico che porta migliaia di famiglie a trascorrere un paio di giorni in giro per l’Emilia. Maggio mi sembra una data auspicabile per la ripartenza: immagino una stagione di rinascita, dove ogni riapertura diventerà un evento eccezionale da festeggiare insieme con il risalto che merita”. Ma intanto, la situazione è drammatica, e come riconosce lo stesso Bottura, “nella ristorazione di medio livello in pochi hanno sufficiente fieno in cascina per superare indenni una fase prolungata di fermo”.
Per questo dare una risposta alla sofferenza della ristorazione oggi, vuol dire rispondere alle difficoltà di una filiera allargata che è spina dorsale dell’Italia. E che, come certifica la Fipe, viva un momento drammatico.
Per il 96% degli imprenditori, spiega la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi (Fipe), le prime misure del Governo sono ancora insufficienti: serve liquidità immediata per coprire i mancati incassi, l’annullamento dei tributi e prestiti a lungo termine, a tasso zero. La principale preoccupazione in questa fase è avere risorse per il pagamento degli stipendi, dei fornitori, degli affitti e delle imposte, mentre si aggrava rapidamente la situazione finanziaria e, dunque, la sfiducia per il futuro. Quattro locali su cinque di quelli in affitto, inoltre, non riescono a pagare regolarmente il canone di locazione, il 23,1% ha chiesto una sospensione o cerca di rinegoziarlo; si chiede con forza una moratoria sugli affitti. Preoccupa la mancanza di certezze sulle riaperture: per il 42,7% non si potrà tornare al lavoro per altri 2 mesi. Il 31,7% pensa a una riapertura a inizio maggio. E il 30% degli imprenditori già prevede di dover ridurre il proprio personale una volta ripresa l’attività. Altra richiesta immediata, è quella di estendere a tutti la possibilità di lavorare con l’asporto, rispettando tutti i parametri di sicurezza, come già avviene per gli esercizi di vendita di generi alimentari.

“Le imprese del turismo stanno morendo giorno dopo giorno: senza un’iniezione immediata di liquidità, un aiuto economico significativo e una prospettiva sul rientro al lavoro - spiega il presidente Lino Stoppani - perderemo una componente fondamentale e qualificante dell’offerta turistica del Paese, nonché della filiera agroalimentare e della nostra tradizione enogastronomica, oltre che della nostra storia. Un’Italia senza i suoi ristoranti e i suoi locali, che costituiscono una rete diffusa, qualificata ed apprezzata, emblema della cucina e dello stile di vita italiano, l’Italia rischia di rimanere senza un’anima, molto più triste e certamente anche meno attrattiva. È evidente - sottolinea Stoppani - che la salute degli italiani e la loro sicurezza debba continuare ad essere la priorità assoluta, ma deve partire un confronto immediato tra Governo e rappresentanti delle categorie imprenditoriali e dei lavoratori per pensare a come e quando ripartire. L’unica strada è quella di una ripresa progressiva delle attività, con tutte le cautele sanitarie che servissero, a cominciare da quelle che offrono un servizio utile per i cittadini, rispettando le misure di distanziamento tra i cittadini e di protezione dei lavoratori. Comprendiamo pienamente la situazione, ma non possiamo restare chiusi ad oltranza o moriremo tutti per crisi economica. Così come accade per tutti gli altri attori della filiera agroalimentare, deve essere garantita almeno la possibilità di vendita con modalità di asporto. Non la somministrazione sul posto ma, assieme al delivery, la vendita take away dei nostri prodotti. È solo un esempio, ma è indispensabile cominciare a ridare speranza, dignità e futuro a migliaia di imprenditori”.
Si parla di un settore, ricorda la Fipe, che sviluppa un volume d’affari superiore agli 86 miliardi, con un valore aggiunto di 46 miliardi di euro, e dà lavoro a 1,2 milioni, grazie a 300.000 imprese. Che, peraltro, dovranno far fronte, oltre che ad una crisi economica epocale, anche ad un inevitabile cambiamento delle regole, altrettanto epocale, quando la crisi sarà rientrata.Non solo quella dettata dalle norme che, secondo le prime indiscrezioni, prevederanno, almeno per un certo periodo, il mantenimento delle distanze di almeno un metro al bar, e di due metri tra i tavoli del ristorante, dove i camerieri, potrebbero dover utilizzare guanti e mascherine.
Ma anche per le conseguenze, almeno a breve e medio termine: dagli spazi da riorganizzare e ridisegnare al potenziamento, dove possibile del servizio di asporto. Ma anche dal punto di vista dei piatti stessi, che, secondo molti, vivranno un ritorno alla semplicità, tra le difficoltà di approvvigionamento di alcune materie prime, per esempio, ma anche dettata dalla necessità di contenere i costi, di guardare con più attenzione alle realtà produttive locali, ma anche ai cambiamenti di approccio, “filosofico” ma anche economico, dei consumatori, con un ritorno probabile a quella che si potrebbe definire “l’essenzialità del gusto”.
Andranno, con ogni probabilità, ripensati, nella loro forma e nel loro utilizzo, anche spazi accessori dei locali, come i bagni, per esempio, ma anche gli spazi aperti, i giardini ed i balconi e così via, mentre spariranno le grandi tavolate e le tavole sociali, almeno per un po’.Con il settore della ristorazione che, per sua natura, ma anche per riprendere a marciare e guardare avanti, sarà una avanguardia nella costruzione della nuova socialità, del nuovo modo di stare insieme che ognuno di noi si troverà a vivere, quando saremo fuori da questa pandemia che, tutti si augurano, diventi quanto prima possibile solo un brutto ricordo.

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