Ma davvero è una novità dirompente la proposta di modifica del disciplinare del Rosso di Montalcino tanto da sollevare un così forte clamore mediatico? E addirittura da rimandare il confronto di altri tre mesi?
Quando a maggio 2010 fu eletto il nuovo cda del Consorzio del Brunello, tutti i candidati avevano sottoscritto un programma di lavoro presentato da Coldiretti, Confagricoltura e Cia nel quale si ribadiva che “il Brunello di Montalcino deve rimanere prodotto dalle sole uve sangiovese di Montalcino ...”. Nel secondo punto, invece, si diceva, espressamente, di “valutare la riorganizzazione del Rosso di Montalcino e del Sant’Antimo che parta da un’attenta analisi dello stato dei fatti”. Sull’onda di questa impostazione condivisa fu creato un gruppo di lavoro coordinato dal presidente della Commissione tecnica del Consorzio, Fabrizio Bindocci, ed a cui hanno partecipato diversi esponenti di grandi e piccole aziende di Montalcino.
Nell’impegno, durato diversi mesi, il confronto interno si è allargato ad altri interlocutori tra cui l’Università (professor Mattiacci, autore di uno fondamentale e profetico studio sulla realtà produttiva del montalcinese), i funzionari della Regione Toscana responsabili del settore vitivinicolo, l’Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e Repressione Frodi per non parlare del Comitato Nazionale Vini del Ministero delle Politiche Agricole e, infine, molti importatori. Insomma, difficile da considerare questo impegno come svolto in assoluta clandestinità e d’altra parte la situazione del Rosso è da tempo sotto gli occhi di tutti: si vende poco e male. Da qui la necessità di trovare una nuova strada anche attraverso un nuovo disciplinare. La proposta infatti prevede tra l’altro la possibilità di utilizzare il sangiovese da un minimo dell’85% fino al 100% ed eventualmente di impiegare il 15% di altri vitigni, di utilizzare l’irrigazione di soccorso o la possibilità di impiegare chiusure alternative (Stelvin). Infine chi utilizzerà il 100% di sangiovese lo potrà indicare con un’apposita specifica in etichetta. Insomma renderlo un prodotto più appetibile, specialmente nei nuovi mercati.
Vale la pena di ricordare, a questo proposito, quanto in tempi non sospetti dichiarava il decano dei produttori di Montalcino nel 2008, Franco Biondi Santi, e successivamente ribadita in più occasioni: “Ora, piuttosto che parlare di modifica al disciplinare del Brunello Docg ... sarebbe da ripensare quello del Rosso di Montalcino Doc: non più un Sangiovese in purezza, ma un mix con altri vitigni coltivati a Montalcino, possibilmente pochi, in percentuali da studiare e da stabilire con chiarezza, che esprimerebbe comunque la tipicità del territorio ... E questa deve essere una possibilità da sfruttare, non una situazione da subire”.
Insomma, l’ipersensibilità su questo tema sembra davvero troppo eccessiva ma di sicuro ha assicurato grande visibilità a chi ha urlato più forte anche se non ha fornito nemmeno una possibilità in più al Rosso di Montalcino. Scriveva ieri Giuseppe De Rita come chiusura del suo editoriale sul Corriere della Sera “ ... umiltà collettiva che ha meno riscontri mediatici ma maggiore qualità etica rispetto alle troppe indignazioni che oggi tengono banco”. Forse bisognerebbe indignarsi di meno e offrire qualche soluzione in più.
Andrea Gabbrielli
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