La bussola del vino mondiale ha girato verso Est: la nuova “terra promessa” è l’Asia, con i suoi mercati complessi ma vivaci, un’economia che galoppa e 2 miliardi di potenziali wine lovers dalla capacità di spesa molto varia, che già si sono fatti notare per le grandi cifre battute nelle aste enoiche in Oriente, tanto che nelle quotazioni Hong Kong ha surclassato Londra, Parigi, New York. E non mancano certo produttori di vino asiatici: come in Cina, dove le aziende sono 400, perlopiù di proprietà del Governo, per una superficie vitata di 390.000 ettari, in grado di crescere del 77% nei prossimi anni. È questo il primo mercato da presidiare: nel Celeste Impero, il consumo annuo di vino è raddoppiato tra 2005 e 2009, salendo a 867 milioni di litri, 1 miliardo di bottiglie, e si prevede che entro il 2014 sarà sesto mercato al mondo per consumo di vino. E se i francesi sono pionieri nell’export (nel 2010, è arrivato il 27,5% di tutto il Bordeaux esportato) e negli investimenti sul territorio (da parte dei grandi châteaux in primis, ma ci sono anche capitali che fanno il tragitto inverso Pechino-Parigi), alla Cina guarda anche l’Italia, con un +145% nel 2010 sul 2009, ma con una quota di mercato “straniero” ancora al 6% contro il 46% dei francesi. “Nel futuro del vino italiano vedo che non se ne fa abbastanza, perché in qualche anno i cinesi se lo berranno tutto - dice James Suckling, guru enologico e ideatore del format Divino Tuscany - ad Hong Kong, Cina, Corea, i francesi sono molto conosciuti, ma ora è il grande momento anche per i vini italiani ...”.
Le aziende leader del Belpaese sono già a lavoro in Cina (Antinori, Masi, Banfi, Frescobaldi, Zonin ...) e ad Hong Kong, che non è solo un mercato da coltivare (+73% l’import di vino nel 2010 sul 2009), ma il vero centro per la distribuzione del vino in Asia: da qui passa il 27% del vino per la Cina. A presidiarlo c’è VeronaFiere, che, con l’Hong Kong Trade Development Council, ha fatto dell’Italia il partner country della Wine & Spirits Fair 2011 (3-5 novembre), fiera asiatica più importante, “per consolidare una linea di comunicazione tra i produttori italiani ed il territorio” spiega Stevie Kim, senior account di Vinitaly Tour, perché “la formazione specifica è indispensabile per accrescere le conoscenze delle peculiarità del vino italiano di qualità secondo le diverse zone di produzione. E cerchiamo una comunicazione costante anche con Vinitaly International Network, nuovo gruppo (quasi 1.000 utenti) su Linkedin, per favorire interazione con gli operatori esteri”. Senza dimenticare il Giappone dove, pur alle prese con un disastro epocale, si bevono 2 litri di vino l’anno, e l’India (tra 2004 e 2008 mercato a +372%) che, nel 2014, sarà decimo mercato al mondo per consumi.
Ma l’Asia è anche luogo di incontro per i “think tank” sul vino: a Wine Future 2011, ad Hong Kong (6-8 novembre), la spagnola Wine Academy riunirà protagonisti del vino mondiale come i wine writer Parker e Robinson (per l’Italia, i produttori Gaja e Bisol), per capire come far crescere i consumi e parlare ai nuovi consumatori nel complicato ma promettente Oriente. Intanto la rivista francese Terre de vins, con l’agenzia di stampa Afp, lancia Frenchwinenews.com, in inglese e mandarino, la lingua ufficiale della Cina.
Focus - Accordi internazionali, investimenti non più solo nel lusso: la Cina punta forte sul business del vino
Il rapporto tra il vino e la Cina si fa sempre più intenso. E sempre più internazionale. A pochi giorni dal via di Vinexpo, la Camera di Commercio di Bordeaux dà notizia di un accordo con la città cinese di Dalian, vicino a Pechino, 7 milioni di abitanti e 36 di turisti ogni anno, che potrebbe valere un mercato da 1 miliardo di euro. L’accordo prevede non solo l’organizzazione di un “Festival Internazionale del Vino”, già fissato per luglio 2012, ma anche, nello stesso anno, la realizzazione di un “Village des Vins de Bordeaux”, che vedrebbe impegnati la Camera di Commercio francese e la Dalian Haichang Group, l’amministrazione della città cinese e l’Ufficio del Turismo di Dalian uniti per la promozione e l’allargamento del mercato del Bordeaux in primis, e del vino in generale, in Cina, che è già la prima destinazione straniera del grande rosso di Francia, con 33,5 milioni di bottiglie per 375 milioni di dollari nel 2010. Ma la Cina, che ha già comprato diverse cantine di lusso proprio in Francia, sta allargando il tiro fuori dai propri confini e non solo pensando al vino di altissima gamma: un consorzio di investitori cinesi avrebbe comprato la Paritua Vineyards, realtà specializzata nella produzione di vini di fascia “premium” in Nuova Zelanda, con 60 ettari di vigneto. Insomma, pare proprio che istituzioni e investitori privati della Cina siano sicuri del potenziale che il mercato cinese e asiatico in generale possano esprimere per il business del vino nei prossimi anni. Anche perché i numeri del passato recente non sembrano lasciare dubbi: in Cina, dove già sono vitati 390.000 ettari di terreno (previsti in crescita del 77% nei prossimi anni), il consumo di vino, dal 2005 al 2009 è raddoppiato, sfiorando il miliardo di bottiglie. E alla Cina guarda anche l’Italia, con un +145% nel 2010 sul 2009, ma con una quota di mercato “straniero” ancora al 6% contro il 46% dei francesi. Ma la domanda è: i cinesi arriveranno a comprare aziende anche in Italia? E se lo faranno, come reagirà il Belpaese enoico?
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