È ancora in atto la sfida tra “nuovo” e “vecchio” mondo enoico? Probabilmente sì, ma i Paesi produttori del “Nuovo Mondo” son un grande esempio di “cathc up” (recupero) che nel suo percorso ha “insegnato” molto anche al “Vecchio Mondo” enoico. Potrebbe sintetizzarsi così lo studio “La sfida tra il vecchio e il nuovo mondo nel mercato globale del vino: catch up graduale dei paesi emergenti e leadership duratura dei vecchi produttori”, curato da Roberta Rabellotti (http://robertarabellotti.it) del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Pavia.
L’industria del vino è un caso estremamente interessante del recupero (“catch up”), attraverso una mirata strategia multidimensionale, del “gap” che divideva i “ritardatari” (cioè i produttori di vino del cosiddetto “Nuovo Mondo”, California e Stati Uniti in generale, Australia, ma anche Sud Africa, Cile e Argentina) dai produttori storici o cosiddetti del “Vecchio Mondo” (sostanzialmente Francia, Italia e Spagna). Una storia che rappresenta anche la vicenda dell’evoluzione di un bene, il vino, che da primario, si è trasformato in prodotto culturale, ad alta intensità di conoscenza e dinamismo tecnologico, dal valore aggiunto crescente e ad alto prezzo di vendita.
L’ingresso robusto dei produttori del “Nuovo Mondo” nello scenario enoico mondiale ha decisamente funzionato da stimolo per l’industria globale del vino, perché ha, in generale, cambiato il modo di produrre vino, il modo di venderlo e anche il modo di consumarlo. Una sfida alle posizioni di rendita dei produttori del “Vecchio Mondo” che, d’altra parte, invece di subire questa “ondata” di novità senza reagire, si sono adattati creativamente al nuovo “corso” enoico mondiale.
Una sfida che sostanzialmente ha giocato sul ruolo dei paesi emergenti, non solo competitivo, ma anche innovativo, importando in un settore “non high tech” come quello viticolo una non piccola dose di nuovo know-how.
Un recupero che è arrivato in una fase in cui il vino da alimento base nei paesi del “Vecchio Mondo” si è trasformato in bevanda per occasioni speciali da diffondere sui nuovi mercati. In una fase, per giunta, in cui si è verificato un costante calo dei di vino interno nei paesi tradizionalmente produttori, mentre la domanda da parte di quelli non produttori (ad esempio, Regno Unito, Paesi Scandinavi, Paesi Bassi) è costantemente aumentata. In più si è sfruttato il boom di consumo da parte dei consumatori senza alcuna esperienza precedente sul vino e senza nessuna conoscenza o “affezione” alle denominazioni europee.
In uno scenario che ha visto poi aumentare progressivamente l’importanza della grande distribuzione con la conseguente domanda di grandi volumi di vini di buona qualità, facili da bere, a prezzi accessibili e ottenuti da varietà internazionali immediatamente riconoscibili come, per esempio, Sauvignon, Cabernet e Chardonnay.
Pregevole la capacità dei Paesi del “Nuovo Mondo” di adattarsi a questo scenario, anzi, in alcuni casi, di costruirlo da protagonisti, con un approccio innovativo a partire dal modo di produrre vino. Ecco allora arrivare sui mercati di tutto il mondo vini di confortante costanza qualitativa, prodotti su larga scala, di facile beva, ottenuti dalla radicale modernizzazione dei processi produttivi: l’introduzione di nuove tecniche di potatura e raccolta meccanica adatte a grandi proprietà, grandi investimenti per migliorare la viticoltura e le tecniche enologiche, uso intensivo della scienza e della tecnologia anche in funzione delle condizioni pedoclimatiche più diverse.
Ma non solo. Le istituzioni dei vari Paesi del “Nuovo Mondo” hanno sostenuto le imprese “market-oriented”, mentre dal lato imprenditoriale si è puntato a fusioni nazionali e transnazionali, acquisizioni e alleanze strategiche, tanto che, ad oggi, le aziende più forti del mercato mondiale del vino si trovano negli Stati Uniti, in Francia, in Australia, in Sud Africa, in Cina e in Cile.
Intanto, però, i consumatori sono diventati sempre più sofisticati e attirati da vini che possiedono qualità intrinseche specifiche ed originali, ma anche specifiche caratteristiche intangibili, come la storia e l’autenticità. In questo senso, il concetto di “terroir”, un elemento che certamente nell’assalto alla “fortezza Europa” da parte dei produttori del “Nuovo Mondo” non è stato compreso fra le componenti fondamentali della sfida, ha ritrovato un peso specifico decisivo. Il che di fatto ha decretato un vantaggio competitivo per i produttori storici europei che hanno sperimentato un incremento del valore delle loro esportazioni mentre per quelle del “Nuovo Mondo” non è stato possibile ottenere risultati analoghi.
Da questo vantaggio competitivo, parte anche la reazione dei produttori del “Vecchio Mondo” che hanno cominciato a guardare al mercato con maggiore attenzione sia in termini di qualità che di prezzo, riprendendo non in modo secondario le sollecitazioni offerte dalle strategie del “Nuovo Mondo”. Innovazione nella produzione delle uve (viticoltura di precisione e tecniche ecosostenibili) e nelle operazioni enologiche sono diventate un elemento fondamentale anche della produzione europea, accanto al marketing e al branding. Un approccio orientato al mercato, accoppiato con una forte differenziazione di marchi e prodotti, una storicità e originalità dei vini, hanno dimostrato di essere una strategia di successo per i produttori del “Vecchio Mondo”, che sono riusciti a contrastare l’avanzata dei produttori extra europei.
La forza propulsiva del “Nuovo Mondo” ha quindi subito un certo rallentamento, restando, per certi versi, bloccata in un modello produttivo basato su vini piuttosto standardizzati e omogenei e grandi imprese.
Un sussulto ai contorni dello scenario del vino internazionale, è arrivato, però, da Oriente con lo sviluppo perentorio dei mercati asiatici e della produttività delle imprese del vino cinesi in testa. Yantai Changyu Pioneer Wine, per fare un esempio, ha improvvisamente raggiunto la quinta posizione tra le più grandi aziende vinicole del mondo, mentre da Pechino si sono mossi investitori con rotta verso Bordeaux, dove hanno acquistato châteaux francesi. Ma non solo. Investimenti cinesi sono arrivati anche fra i vigneti della California e in Australia.
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