+ 2153% è la percentuale di valorizzazione di un ettaro coltivato a Brunello, a quarant’anni dalla costituzione del Consorzio del Brunello di Montalcino. Una travolgente “cavalcata” che ha visto i vigneti di Montalcino salire sull’Olimpo di quelli più pregiati al mondo (una crescita in valore di ben 23 volte nel lasso di tempo relativamente breve tra 1967 e 2007). Nel 1967, infatti, a Consorzio di Tutela appena nato, un ettaro di terreno vitato e/o vitabile (fabbricati annessi) valeva 1,8 milioni di lire, pari a 15.537,15 euro (cifra ottenuta con il calcolo dei coefficienti Istat per l’attualizzazione dei valori al 2006); oggi un ettaro di Brunello vale ben 350.000 euro. Nel 1977, un ettaro (fabbricati e vigne vecchie incluse) valeva 3,5 milioni di lire, grosso modo il doppio che nel precedente decennio (la cifra attualizzata con i coefficienti Istat è pari a 11.730,60 euro).
Ma l’incremento più considerevole esce dal confronto di questo valore con quello del 1987, quando un ettaro di Brunello arriva a costare 50 milioni di lire (pari a 50.140,22 euro sempre secondo l’attualizzazione dei coefficienti Istat), vale a dire circa 5 volte in più rispetto al 1977. Questa impennata così netta è spiegabile con l’arrivo a Montalcino delle grandi firme dell’enologia italiana (solo per fare gli esempi più importanti da Banfi a Antinori, passando per Frescobaldi), che proprio a partire dalla metà degli anni ottanta, fino all’inizio degli anni ’90, costituiscono le loro “dependances” fra le colline di Montalcino.
Un trend al rialzo di solida continuità anche nel decennio successivo: nel 1997, un ettaro di Brunello valeva 150 milioni di lire (somma attualizzata con i coefficienti Istat pari a 93.667,21 euro), quasi due volte il valore registrato nel 1987, per arrivare all’attuale cifra record di circa 350.000 euro. Valori importanti, che sottolineano un tasso di crescita notevole, anche considerando l’incidenza del costo della vita e la recente introduzione dell’euro, a conferma del ruolo di primaria grandezza nel panorama enologico non solo italiano ma anche mondiale che il Brunello di Montalcino ha conquistato in un lasso di tempo relativamente breve.
Perfino Ezio Rivella, enologo manager che proprio a Montalcino ha costruito il suo successo ed oggi una delle memorie storiche più lucide di questo territorio, nell’analizzare le cifre che ha fornito, ancora si stupisce: “non avevo mai provato a mettere in fila - attacca Rivella - organicamente questi numeri, fanno davvero impressione. Quando John Mariani mi commissionò il primo studio sulla fattibilità del suo progetto enologico scartammo sia la California che l’Australia, dove i terreni costavano notevolmente di più che a Montalcino. Credevamo molto in questo territorio, ma non potevamo certo immaginare un successo di questa portata”.
Ma nel recente passato, la situazione della “capitale” del Brunello non era affatto così prospera. Fra il 1955 e il 1970, Montalcino entrò in una profonda crisi economica e sociale, diventando una delle località più depresse della provincia di Siena, dove la penuria di lavoro causò un preoccupante calo della popolazione residente (gli abitanti passarono dai 10.203 del 1951, ai 6.297 del 1971, secondo i dati dei censimenti Istat). E’ proprio in questa fase così delicata che Montalcino scommette sul vino, rendendo estremamente concreto il proverbio latino “ex vite vita”. Un intero comune pericolosamente in declino diventa uno dei luoghi più importanti d’Italia e non solo, dove il circolo virtuoso fra territorio, economia e società viene realizzato compiutamente.
Simbolo di questa scommessa sul vino, il Consorzio del Brunello di Montalcino. Nato nel 1967, attorno ad una sparuta pattuglia di 37 soci fondatori (12 dei quali imbottigliatori) ha continuativamente raccolto un notevole successo durante la sua storia quarantennale, rappresentato da un sempre crescente numero di associati (nel 1977 erano 74, 38 dei quali imbottigliatori; nel 1987, 111, 74 dei quali imbottigliatori, nel 1997 erano 183, 129 dei quali imbottigliatori), arrivando oggi ad associare il 100% dei produttori di Brunello (ben 247, 208 dei quali imbottigliatori), unico esempio del genere in Italia.
Un solido e fondamentale punto di riferimento per tutte le aziende vitivinicole del territorio, insomma, senza eccezioni di sorta fra grandi e piccole, antiche e moderne. Ma Montalcino, evidentemente, è cresciuto in notevole misura anche in fatto di ettari di vigneto dedicati alla coltivazione del Brunello, passando dai 64,58 ettari a Brunello del 1967 (per una produzione di 2.077 ettolitri di vino), ai 411,66 ettari del 1977 (per una produzione di 17.679 ettolitri di vino), e, successivamente, dai 790 ettari del 1987 (per una produzione di 41.604 ettolitri di vino), ai 1.245,94 del 1997 (per una produzione di 59.758 ettolitri di vino), per arrivare, infine, agli attuali 2.024,35 (per una produzione di 79.440 ettolilitri di vino; fonte: Consorzio del Brunello di Montalcino).
Stefano Campatelli, direttore del Consorzio del Brunello, ricopre questa carica da 17 anni e ricorda i suoi esordi: “ho iniziato il 19 marzo 1990 - racconta Campatelli - da subito percepii un grande movimento, soprattutto per quanto riguardava la viticoltura. Si impiantarono molti vigneti e molti di quelli vecchi furono sostituiti con quelli nuovi. Una necessità legata soprattutto alla consapevolezza che si andava formando, ossia che la viticoltura degli anni Settanta-Ottanta, aveva poco a che fare con il concetto di qualità. Insomma, la tendenza generale guardava decisamente al miglioramento”. In effetti, il vero e proprio “boom” del Brunello di Montalcino arriva con la commercializzazione dell’annata 1990, vale a dire nel 1995. Sono gli anni Novanta, infatti, a rappresentare il passaggio decisivo dal “Medioevo” al “Rinascimento” di Montalcino. Evidentemente, anche prima di quel decennio erano già stati prodotti grandi vini, anzi, ce ne sono alcuni la cui grandezza è difficilmente eguagliabile a tutt’oggi. Tuttavia, in quell’epoca, era la casualità di una grande vendemmia o un pizzico di fortuna, a decretare molto spesso la grandezza di un vino. Con gli anni Novanta, invece, diventa diffusa pressoché fra tutti i produttori di Brunello, la consapevolezza, la coscienza e l’abilità per raggiungere senza incertezze traguardi qualitativi di riferimento. Oggi, il grande lavoro svolto sul Sangiovese, già consegna bellissimi risultati, ma il notevole margine di miglioramento futuro, a cui sembra destinata la coltivazione di questo vitigno a Montalcino, fa pensare, con pochi dubbi, a risultati ancora più straordinari.
La curiosità - Mezzo secolo di Brunello in assaggio … Degustazione da sogno delle vendemmie a “cinque stelle”
Ci sarà mezzo secolo di Brunello di Montalcino in assaggio: è la storica degustazione di scena per celebrare i “primi” 40 anni del Consorzio del Brunello di Montalcino che vedrà avvicendarsi nei bicchieri di cinquanta fortunati opinion leader le vendemmie a “cinque stelle” (1970, 1975, 1985, 1988, 1990, 1995, 1997). A guidare la degustazione l’enologo Vittorio Fiore, affiancato da un notaio, con il compito di certificare l’autenticità delle preziose bottiglie, a sottolineare la scrupolosità dell’evento (in programma il 27 aprile, ore 9,30, a Montalcino). Un viaggio enoico fra quaranta etichette, per certi versi unico nel panorama enologico italiano, perché rappresentativo di una reale evoluzione organolettica e di un’altrettanto reale percorso spazio-temporale. L’eccezionale profondità di annate proposta in questa degustazione ripercorre le tappe più importanti di un cammino da subito votato all’eccellenza. Certo, segnato all’inizio, soprattutto, dalla voce “solista” della cantina che ha letteralmente inventato il Brunello di Montalcino, la Tenuta “Greppo” della famiglia Biondi Santi, ma che nella sua evoluzione successiva ha visto fiorire un “coro”, per rimanere nella metafora musicale, di aziende, capaci di sancire definitivamente il successo del Brunello nel mondo. Un ritratto veritiero che esce anche dal disegno spaziale che questa degustazione riesce a fornire attraverso un percorso fra vini provenienti da diverse aziende, localizzate nelle più importanti “sottozone” della denominazione.
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