Aumento delle temperature generalizzato, piogge estive sempre più scarse nel bacino del Mediterraneo e sempre più abbondanti nell’Europa Continentale, possibilità di coltivare la vite anche in zone diverse da quelle dei terroir storici: sono questi alcuni degli effetti, in corso e possibili, causati dall’attuale cambiamento climatico in atto, di cui si parlerà a Vinitaly (Verona, 29 marzo-2 aprile 2007), la più importante fiera internazionale di settore. Un processo di cui è possibile fissare con precisione la data d’inizio. Per il mondo del vino europeo, infatti, il 1989 passerà alla storia, non solo come l’anno del crollo del muro di Berlino, ma anche come l’anno della decisa e improvvisa “cesura” climatica, una vera e propria discontinuità con quanto era avvenuto nel recente passato, e i cui effetti sono al centro del dibattito climatologico internazionale.
A partire dal 1989, infatti, il clima è cambiato drasticamente e di colpo, diventando più secco, a causa di un innalzamento della temperatura e una diminuzione delle piogge. Ed è da considerarsi un vero e proprio “novum” climatico, che va ad incidere soprattutto nel cuore del continente più importante per la produzione vitivinicola: l’Europa, con effetti già ampiamente evidenti sui processi vegetativi della vite.
Una nuova fase climatica, dunque, che si è andato consolidando sempre più chiaramente dalla fine degli anni 80 del ‘900 e che potrebbe da una parte accentuare sempre più radicalmente le differenze fra gli areali viticoli europei, agendo sulle determinanti climatiche chiave e configurando una netta diversificazione fra le zone a clima cosiddetto oceanico (la Francia, per esempio), rispetto a quelle a clima mediterraneo (l’Italia). Nelle prime, solo per fare un esempio, con una sempre più massiccia concentrazione delle piogge nei mesi estivi, mentre nelle seconde, con una ulteriore diminuzione delle precipitazioni negli stessi mesi estivi. Dall’altra, un obbiettivo aumento delle temperature potrebbe permettere una viticoltura un po’ meno “rischiosa” in zone come l’Inghilterra, che siamo abituati a considerare soltanto come un nazione che acquista vino, ma che non lo produce.
Guardando al sistema climatico nel suo complesso, la causa principale di questo improvvisa inversione climatica è, secondo il professor Luigi Mariani, titolare della cattedra di Agrometeorologia del Dipartimento di Produzione Vegetale dell’Università degli Studi di Milano, intervistato da WineNews, la repentina, quanto improvvisa, mutazione della circolazione atmosferica atlantica. L’abituale alternanza tra inverni da est, più rigidi, e inverni da ovest, più temperati si è praticamente interrotta, innescando un ciclo atipico tutto spostato sulla circolazione proveniente da ovest (un fenomeno che, storicamente, non è la prima volta che si verifica e, almeno stando ai dati climatici dell’ultimo secolo, dovrebbe durare, grossomodo 20-40 anni).
Questo nuovo ciclo, a partire proprio dal “fatidico” 1989, ha causato a sua volta l’aumento delle temperature (di circa 1,5° C, che a loro volta aumentano l’evaporazione e l’effetto serra da vapore acqueo, innalzando ulteriormente la temperatura) e la drastica diminuzione della pioggia nel bacino del mediterraneo (fra i 100 e i 200 ml di acqua in meno all’anno).
Data l’estrema vulnerabilità alla variabilità climatica dei sistemi agricoli, fra questi, quelli vitivinicoli in testa, sarebbe opportuno usare una maggiore attenzione verso l’evoluzione di questi fenomeni. E l’attenzione alle misure meteorologiche dovrebbe iniziare nelle aziende, che però non hanno mostrato per ora una sensibilità adeguata. Semplici misurazioni (almeno di pioggia e temperatura) non dovrebbero mai mancare fra i vari parametri di controllo della produzione, insieme, evidentemente, ad una sempre maggiore attenzione alle metodologie agronomiche più adatte da adottare nel vigneto.
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