Un valore d’affari che nel 2018 ha toccato i 24,5 miliardi di euro, con una crescita del 12,4% solo dall’anno precedente, che quindi non sembra affatto essere influenzato dall’andamento dell’economia italiana e mondiale, fatta di tensioni commerciali e barriere nazionali. Non si parla di un’azienda modello ma, purtroppo, degli affari delle agromafie, il nuovo volto (uno dei tanti) della criminalità organizzata che ha fiutato nel settore agroalimentare un terreno fertile per il prosperare degli affari. I preoccupanti numeri emergono dal Rapporto Agromafie 2018, il n. 6, elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare, presentato stamattina a Roma nella sede di Coldiretti. E a cui partecipano esponenti del Governo e della magistratura, come Alfonso Bonafede, Ministro della Giustizia, Matteo Salvini, Ministro dell’Interno, Federico Cafiero De Raho, Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Raffaele Cantone, Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, David Ermini, Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Nicola Morra, Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, oltre a ovviamente il presidente di Coldiretti e dell’Osservatorio Agromafie Ettore Prandini, il presidente di Eurispes Gian Maria Fara e Gian Carlo Caselli, presidente del Comitato Scientifico della Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Ed è stato proprio Caselli a dare a WineNews un quadro molto chiaro della situazione nel Paese: “il settore dell'agroalimentare è sempre in crescita, soprattutto il marchio made in Italy: per questo fa così gola alla criminalità organizzata. Che quindi controlla ogni step della filiera, dai campi alla lavorazione, fino alla distribuzione. La nostra normativa - ha aggiunto - è arretrata, va aggiornata e tenuta al passo con i tempi: si tratta di una problematica che coinvolge l’estero, e in internet, e per questo ha bisogno di norme più moderne”.
Ciò che viene sottolineato subito da Coldiretti è come le mafie abbiano sostanzialmente cambiato faccia: non si tratta più di criminalità palesemente violenta, che si spara per la strada e che porta l’abito militare. È una nuova organizzazione, fatta di persone col cosiddetto “colletto bianco”, che sfrutta la tecnologia, la modernità e soprattutto l’economia: ecco perché si parla di Mafia 3.0, fatta dei giovani che hanno frequentato università, spesso all’estero. Una premessa, che serve a spiegare il livello di infiltrazione della criminalità nel settore agroalimentare: i poteri mafiosi, spiega Coldiretti, si “annidano” nel percorso che frutta e verdura, carne e pesce, devono compiere per raggiungere le tavole degli italiani passando per alcuni grandi mercati di scambio fino alla grande distribuzione, distruggendo così la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta. Il risultato sono la moltiplicazione dei prezzi, che per l’ortofrutta arrivano a triplicare dal campo alla tavola, i pesanti danni di immagine per il made in Italy in Italia e all’estero e i rischi per la salute con 399 allarmi alimentari solo nel 2018 in Italia. Nel 2018, come emerge dal Rapporto, si è confermata anche l’impennata di fenomeni criminali con furti di trattori, falciatrici e altri mezzi agricoli, gasolio, rame, prodotti (dai limoni alle nocciole, dall’olio al vino) e animali con un ritorno dell’abigeato con veri e propri raid organizzati a livelli quasi militari. A tutto questo, continua il Rapporto, si aggiungono racket, usura, danneggiamento, pascolo abusivo, estorsione nelle campagne.
A destare molta preoccupazione sono i numeri emersi nel Rapporto relativi proprio alle truffe alimentari: sulla base dei risultati operativi degli oltre 54.000 controlli effettuati dal Ispettorato Centrale Repressione Frodi (Icqrf) nel 2018, si evidenzia come i settori agroalimentari più colpiti siano quello del vino, con una crescita del 75% delle notizie di reato, seguito da quello della carne, dove le frodi sono addirittura raddoppiate (+101%), dalle conserve, che tocca il +78%, e dello zucchero, dove nell’arco di dodici mesi si è passati da zero e 36 episodi di frode. Inoltre, solo nell’ultimo anno sono stati sequestrati 17,6 milioni di chili di alimenti di vario tipo per un valore di 34 milioni di euro. E ancora, più di un italiano su cinque, e cioè il 17%, è stato vittima di frodi alimentari nel 2018, a causa di acquisto di cibi fasulli, avariati e alterati: per questo, evidenzia la Coldiretti, ben l’88% dei cittadini nel momento di fare la spesa è preoccupato dell’idea che nei negozi ci siano in vendita prodotti alimentari pericolosi per la salute. Proprio sul tema, a WineNews il Ministro del’Interno Matteo Salvini ha espresso la necessità di “monitorare: la filiera, la tracciabilità. E tutelare le aziende “sane” e il made in Italy, soprattutto in Europa. Per questo - ha sottolineato il Ministro - stiamo lavorando con i Paesi europei, ma anche con altri Paesi nel mondo, per fare in modo che i nostri prodotti siano conosciuti, e di conseguenza tutelati, su tutti i mercati esteri”.
In effetti, anche se a prima occhiata non sembra essere correlato, il business del falso made in Italy, e del cosiddetto “Italian Sounding”, è redditizio e poco controllato, per cui attira la criminalità. Sono tantissimi, e sempre di più, i prodotti che in qualche modo richiamano l’italianità. E non solo: tanti sono anche i prodotti alimentari “ringiovaniti” o nocivi che vengono comunque messi sul mercato, e che finiscono sulle tavole degli italiani. A dimostrazione di come questo fenomeno sia molto diffuso, la Coldiretti ha deciso di presentare il primo menù con i casi più eclatanti, dall’antipasto con la mozzarella sbiancata con carbonato di soda e perossido di benzoile, il riso dalla Birmania frutto della persecuzione e del genocidio dei Rohingya, il pesce vecchio “ringiovanito” con il cafados, una miscela di acidi organici e acqua ossigenata che viene mescolata con il ghiaccio e consente di dare una freschezza apparente, alle tartine di tartufi cinesi spacciati per italiani; il tutto accompagnato da vino scadente adulterato con lo zucchero, la cui aggiunta è vietata in Italia, da olio di semi colorato alla clorofilla al posto dell’extravergine.
E, incredibilmente, i danni delle mafie nel settore agroalimentare non finiscono qui: forse secondario, ma comunque preoccupante, è il “mafia style” nel settore della ristorazione e dell’agroalimentare stesso. Si parla di locali, e prodotti, con nomi che rimandano alla mafia, e che sembrano attirare i consumatori: la Coldieretti ha stimato, nel Rapporto, un volume di affari che già tocca i milioni di euro. Quello più eclatante, è stata l’apertura a Parigi del ristorante “Corleone” di Lucia Riina, figlia del defunto boss, ma è solo l’ultimo arrivato: nel mondo sono numerosi gli esempi di marketing legati alla mafia. Oltre alla famosa catena di ristoranti spagnoli “La Mafia” (“La Mafia se sienta a la mesa”) che fa mangiare i clienti sotto i murales dei gangsters più sanguinari, in tutto il mondo, sottolinea la Coldiretti, si trovano ristoranti e pizzerie “Cosa Nostra” dal Messico a Sharm El Sheik, dal Minnesota alla Macedonia, mentre a Phuket in Thailandia c’è addirittura un servizio take-away. Ma nei diversi continenti ci sono anche i locali “Ai Mafiosi”, “Bella Mafia” e “Mafia Pizza”. Stessa musica per i prodotti: in Norvegia, ad esempio, sul sito della Tv pubblica il celebre cannolo siciliano è stato presentato come “Mafiakaker eller cannoli”, ossia “Il dolce della mafia, i cannoli”. In Bulgaria si beve il caffè “Mafiozzo”, denuncia Coldiretti, a sottolineare lo stile italiano, mentre invece in Gran Bretagna si posso comprare gli snack “Chilli Mafia”, e in Germania si trovano le spezie “Palermo Mafia shooting”, a Bruxelles c’è la salsa “SauceMaffia” per condire le patatine e la “SauceMaffioso”, mentre in America, nel Missouri, si vende la salsa “Wicked Cosa Nostra”. In terra tedesca, continua Coldiretti, si beve anche il “Fernet Mafiosi”, con tanto di disegno di un padrino, mentre sul collarino della bottiglia è addirittura raffigurata una pistola, sotto la scritta “Stop!”. E il vino, ovviamente, non poteva essere l’eccezione: nella Santa Maria Valley California da Paul Late c’è il Syrah “Il Padrino”, “For those who dare to feel” (per quelli che osano sentire).
“Quello delle agromafie è un problema serio - ha detto a WineNews Federico Cafiero De Raho, Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo - e la loro forza è che si inseriscono in moltissimi settori. A combatterla, servono anche le associazioni di categorie e i produttori. Quello alimentare è il settore in cui riescono meglio ad infiltrarsi e mimetizzarsi”.
“Le norme contro agromafie e caporalato - sottolinea il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede - già esistono, quello che il mio Ministero è impegnato a fare è innanzitutto ssicurare la messa in pratica di queste norme. Ciò che vogliamo promuovere, ad esempio, è una norma importante, quella della possibilità di utilizzo delle intercettazioni, fondamentale per questo tipo di indagini”.
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