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I PRIMI 50 ANNI DELL'ACCADEMIA DELLA CUCINA: L'IDEA FU DI ORIO VERGANI, OGGI HA 229 DELEGAZIONI E 6.000 SOCI

L'idea fu di Orio Vergani. Nell'estate del 1953 radunò attorno al tavolo di un ristorante di Milano parte dei nomi noti della città, da Dino Buzzati a Gio Ponti ad Arnoldo Mondadori. Quando si alzarono, era nata l'Accademia della Cucina italiana. E, nello stesso locale, all'Hotel Diana, tra pochi giorni, sarà festa per i primi 50 anni di vita. Sarà poi una mostra - che sarà inaugurata il 15 giugno nelle sale del Castello Sforzesco - sulla storia dei menù a suggellare le celebrazioni: l'esposizione attraversa diverse epoche dell'arte della tavola, da quando non c'era bisogno dei menù perché i piatti già cucinati venivano serviti senza fornire in anticipo l'elenco ai commensali, fino alle abitudini di oggi.
Orio Vergani fondò l'Accademia negli anni della ricostruzione dopo la guerra. Il suo fu un grido di allarme sull'agonia della cucina italiana. Nei suoi viaggi da "cronista vagabondo", si era stupito di sentirsi proporre a Treviso una cotoletta alla milanese e non un piatto di luganeghe, a Conegliano un bianco toscano e non un vino del Piave. Il grido d'allarme era questo: le tradizioni di ogni regione erano a rischio sparizione in nome di una nuova globalizzazione gastronomica fatta di alberghi e ristoranti che proponevano menù senza ombra di dubbio dignitosi, ma privi di identità. L'appello, a favore di una cucina "non corrotta dall' internazionalismo dei rapidi tegami", fece proseliti nel mondo della cultura, dell'editoria, delle professioni, dell' imprenditoria di Milano ma anche del resto del Paese. Già nel '53 furono fissati i primi obiettivi dell'Accademia. Si trattava di raccogliere e pubblicare le ricette tipiche di ogni zona e di censire la valutazione delle trattorie delle regioni. Dietro l'angolo c'era la prima guida gastronomica italiana.
Cinquant'anni dopo, l'organizzazione ha 174 delegazioni sul territorio in Italia, 55 all'estero, 6.000 associati, ha promosso convegni, mostre e rassegne a tema, ha una rivista e un'immancabile guida annuale dei ristoranti. L'intento, per molti riuscito, è di rappresentare qualcosa di più di un semplice sodalizio di buongustai. Già l'articolo 2 dello statuto dell'Accademia ne riassume con efficacia i fini e gli scopi: "studia i problemi della gastronomia e della tavola italiana, formula proposte, dà pareri in materia su richiesta di pubblici uffici, di enti, di associazioni, di istituzioni pubbliche e private, ed opera affinché siano promosse iniziative idonee a favorire la migliore conoscenza dei valori tradizionali della cucina italiana".
Nella mostra al Castello Sforzesco (dal 17 giugno al 31 luglio, con ingresso libero), si va dalle prime liste di portate del 1802 ai menù dei re d'Italia, di artisti famosi, distribuiti su aerei, treni e transatlantici. Ci sarà il menù dell'ultima cena di Napoleone III alle Tuileries, prima della partenza per Sedan, dove sarebbe stato sconfitto e si sarebbe consegnato prigioniero al re di Prussia. Ma anche quello di Vittorio Emanuele II a Genova nel 1862: un menù eccezionale per dimensioni, policromia e ricchezza iconografica. Un unicum, considerando la tradizionale parsimonia dei Savoia, ma l'occasione era straordinaria: il matrimonio di Maria Pia, figlia del Re d'Italia, con Luigi I, Re del Portogallo. (Ansa)

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