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IL BRUNELLO DI MONTALCINO E’ MARCHIO IN 60 PAESI DEL MONDO. I PRODUTTORI: “ERA L’UNICA MANIERA PER DIFENDERCI, MA ABBIAMO ANCHE FATTO RICORSO CONTRO LA DECISIONE EUROPEA DI “SVENDERE” LE DENOMINAZIONI TRADIZIONALI ITALIANE”

Il Brunello di Montalcino, una delle griffe italiane del vino più famose a livello internazionale, si è registrato come “marchio d’impresa” in 60 Paesi del mondo, oltre all’Italia, e ha scelto la via del ricorso contro l’Unione Europea per difendere il suo “nome” dalle imitazioni. Tutto è iniziato un anno fa, con la contestata decisione dell’Unione di rivedere il regolamento comunitario (753/02) che disciplina l’etichettatura dei vini, permettendo così ai produttori stranieri di usare dizioni quali: Brunello, Vinsanto, Vino Nobile, Amarone, Morellino, per un totale di 17 menzioni. Per ovviare agli ostacoli europei e non perdere la tipicità della propria denominazione, il Consorzio del Brunello ha deciso di registrare il nome del vino come marchio d’impresa, a sicura garanzia contro eventuali imitazioni. “Già dal 1993 - spiega Stefano Campatelli, direttore del Consorzio del Brunello - abbiamo iniziato a depositare il Brunello di Montalcino come marchio in 8 Paesi (Stati Uniti, Canada, Cile, Argentina, Sud Africa, Svizzera, Giappone e Australia) per evitare che nessuno potesse appropriarsi del nostro nome. Allora era solo una semplice precauzione, ma dopo la revisione del regolamento europeo e la liberalizzazione delle denominazioni tradizionali, siamo stati costretti ad allargare il numero delle nazioni. Oggi abbiamo aggiunto altri 60 Paesi - dalla Cina alla Russia, dall’India al Messico, dal Brasile alla Corea, da Singapore alla Nuova Zelanda - di cui 25 in sede comunitaria. E’ stato un atto dovuto - aggiunge Campatelli - nei confronti di tutti i produttori del Consorzio per tutelare la tipicità del Brunello nel mondo. Questo ci mette al riparo, ma certo non abbassiamo la guardia: per questo motivo insieme ad un coordinamento di altri Consorzi di tutela dei più importanti vini italiani, in accordo con il Ministero delle Politiche Agricole, abbiamo deciso di impugnare il famigerato regolamento dell’Unione e abbiamo fatto ricorso in sede europea”.

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