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E' MODA CHEESE-BAR, FORMAGGIO ENTRA NEL MONDO DEL VINO. INEDITO GEMELLAGGIO TRA DUE ECCELLENZE DEL MADE IN ITALY

E' un po' cheese e un po' wine. Sono trendy e fanno tendenza, attirando un numero sempre più grande di appassionati. Il target? Giovani, ma non solo, perché la formula cacio e vino piace davvero a tutti. Il segreto sta nell'accostamento dei due mondi, separati fino a qualche tempo fa, dal cui matrimonio è nato un vero e proprio business a tutto vantaggio dei buongustai.

Il filo conduttore che li unisce é la massima estensione sensoriale, indispensabile per degustare sia un buon bicchiere di vino che un tomo d'alpeggio; infinite sono le combinazioni di sensazioni, perché nella gamma dei sapori c'é solo l'imbarazzo della scelta.

Basti pensare che solamente in Italia esistono quasi 600 diversi tipi di formaggio, senza contare quelli stranieri, gli spagnoli in testa oltre agli intramontabili francesi, che stanno conquistando i palati degli italiani più curiosi. Sono sopratutto le città del Centro-Nord ad ospitare i "cheese bar", piccoli locali fino a 40 coperti circa dove del formaggio, da consumare in piedi o seduti, se ne fa un culto. I formaggi più richiesti oggi sono caprini e tomi d'alpeggio, morbidi e cremosi che ben si sposano con la gamma dei vini offerti, ma anche con miele, aceto balsamico, extra vergine e tante crudité.

Quanto ai prezzi, l'offerta è per tutte le tasche: dipende dalla selezione dei formaggi e naturalmente della bottiglia che, in alcuni casi può essere anche di birra. Che il "cheese bar" sia in ascesa lo dimostra il fatto la formula del franchising è già una realtà.

L'investimento richiesto? 140mila euro, con un locale di circa 100 mq tra vendita al dettaglio, degustazione e deposito. Niente è lasciato al caso, nemmeno il servizio affidato ai 'maitre di formaggi', che suggeriscono abbinamenti e sapori diversi a seconda delle stagioni e quindi delle temperature; in alcuni locali ai neofiti del primo assaggio, ogni formaggio viene accompagnato da una scheda con tutte le caratteristiche.

A questo proposito la dicono lunga la crescita dei corsi di degustazione organizzati con successo in tutta Italia. A detta degli esperti, il consumatore italiano, a differenza del francese, non ha ancora una cultura in merito, è poco informato, questo sì, ma la sua voglia di degustare va di pari passo con quella di conoscere il mondo del caseario, da come vengono prodotti tomi e caciotte, a come tagliarli - ad ognuno la sua lama -, a come presentarli - il tagliere di legno è un must.

Una cosa è sicura: questi nuovi punti di ritrovo sono in diretta concorrenza con pub ed enoteche, la cui crescita in questi anni è stata davvero sorprendente; gli ultimi dati parlano di circa 2.000 locali con un fatturato di oltre 400 milioni di euro. Non sono pochi però a scommettere sul successo di questa nuova formula.

L'input ai "cheese bar" sicuramente lo ha dato il vino e la sua rinnovata immagine che, se consumato soprattutto fuori dalle mura domestiche, piace e aiuta a socializzare; ma anche il formaggio gioca un ruolo importante.

Riscoperto attraverso la Francia nel corso degli anni '90, questo settore sta richiamando oggi una nuova attenzione, dovuta anche in parte al via libera ottenuto dalle nuove regole in campo dietetico. Non è un caso che nel calo generalizzato dei consumi familiari questi prodotti vadano in controtendenza, avendo registrato nei primi sette mesi del 2005, secondo dati Ismea-Nielsen elaborati da Coldiretti, un aumento in quantità del +3%. Relegato fino a qualche tempo fa come una semplice cornice, oggi anche al ristorante il formaggio ha assurto la fisionomia di una vera e propria pietanza.

Una moda? Forse, che va sicuramente a vantaggio di uno dei settori portanti dell'agroalimentare del made in Italy; ma un rischio in tutto questo c'é, come spiega Edi Sommariva, direttore generale della Federazione italiana dei Pubblici Esercizi aderente a Confcommercio: "L'abbinamento tra queste due eccellenze non può che sortire un risultato di successo; mi preoccupa un po', però, la tendenza sempre più diffusa di inseguire politiche aziendali di nicchia, spesso fragili e temporanee, che rischiano di far perdere di vista quelle più rilevanti dinamiche sociali e collettive entro cui si è sviluppato negli ultimi anni il settore dei consumi fuori casa, apportando valore vero al consumatore e distribuendo ricchezza sul territorio".

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