“E’ la ristorazione italiana all’estero il vero motore di crescita della domanda dei prodotti dell’agroalimentare italiano: pasta, riso, conserve, insaccati, formaggi, olio di oliva, aceti, grappa, ed ovviamente e particolarmente anche vino”. Lo afferma il produttore piemontese Angelo Gaja, una delle griffe più famose del made in Italy del mondo, intervistato in esclusiva da www.winenews.it.
Gaja cita l’esempio degli Stati Uniti, Paese in cui sia le nostre esportazioni di vino (con un aumento del 9,1% in quantità e del 7,5% in valore), sia la nostra cucina stanno vivendo un momento d’oro: “Da inchieste che si ripetono regolarmente negli States anno dopo anno - afferma Angelo Gaja - risulta che la cucina italiana e’ quella di gran lunga preferita dagli americani. Sulla sua qualità c’era sempre stato in Italia chi arricciava il naso perchè la trovava spesso datata, appesantita, povera di ricerca e di fantasia. Ma sono gli americani a trovarla straordinaria, nonostante in passato la cucina italiana abbia spesso dovuto adattarsi ai loro gusti. Va comunque dato atto che negli ultimi venti anni la cucina italiana negli Usa è fortemente migliorata, ha fatto scuola, è stata divulgata da eccellenti scrittori che ne hanno svelato non solo le ricette, ma anche l’anima”.
“Invece - continua Gaja - è facile osservare che nei Paesi esteri in cui la ristorazione italiana è debole, anche l’esportazione dei prodotti italiani derivati dall’agricoltura lo è. In alcuni mercati come Cina, India e Russia, le cui economie sono destinate a crescere molto in futuro, i ristoranti italiani sono rarissimi (ad esclusione della città di Mosca) perchè i nostri flussi migratori non vi trovarono sbocco e così venne meno l’opera preziosa di educazione alla cucina italiana ed al modo di vivere italiano. Oggi di emigranti il nostro Paese fortunatamente non ne manda più per il mondo, e sono rari i casi di cuochi italiani disposti a trasferirsi all’estero, mentre la domanda estera di cuochi di cucina italiana è elevatissima e resta largamente insoddisfatta. Allora il problema è questo: se vogliamo far crescere l’esportazione dei prodotti dell’agroalimentare italiano dobbiamo favorire l’espansione dei ristoranti di cucina italiana nei Paesi esteri in cui siamo più sguarniti, ovvero dobbiamo favorire la formazione di cuochi di cucina italiana all’estero. Dobbiamo sostenere più attivamente chi già ha aperto all’estero scuole per la formazione di cuochi di cucina italiana, affiancando ad esse altre analoghe con insegnanti di madre lingua assistiti da docenti italiani. Non occorrono investimenti particolarmente elevati: solo va compreso che si tratta di un progetto a medio termine da portare avanti nel tempo in modo serio e continuativo rinunciando al folclore”.
Angelo Gaja conclude parlando della guida Michelin come “strumento di colonizzazione” per la cucina francese nel mondo: “La guida Michelin ha grande tradizione ed ha saputo guadagnarsi assoluta credibilità ovunque, contribuendo a fornire al suo Paese un servizio preziosissimo di divulgazione della cucina francese, premiandone spesso i suoi migliori interpreti, offrendo un palcoscenico privilegiato ai prodotti dell’agroalimentare francese nel mondo intero: vini, formaggi, marmellate, tartufo nero, fois gras. Possibile che in Italia non ci sia un imprenditore illuminato, un ente privato capace di avviare nel mondo un progetto editoriale simile a quello della guida Michelin? La Michelin è un esempio dal quale non è possibile trarre ispirazioni? Perché lasciare alla guida Michelin un dominio planetario assoluto? Una competizione seria e leale non potrebbe che giovare anche ad essa”.
Antonio Boco
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