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PREZZI & AGRICOLTURA - ECCO I PERCORSI DEI PRODOTTI … DA GRANO A PANE E PASTASCIUTTA SI MOLTIPLICANO ALMENO DI 12 VOLTE

Con 1 chilo di grano dal prezzo di 20 centesimi si riesce a produrre, con la trasformazione in farina e con l’aggiunta di acqua, 1 chilo di pane che viene venduto ai cittadini a valori di almeno 12 volte superiori e variabili da 2,4 euro al chilo per il pane comune a 5 euro ed oltre per i pani più elaborati. Lo afferma la Coldiretti, in riferimento allo sciopero della spesa annunciato per il 13 settembre dei consumatori, “nel sottolineare che il livello dei prezzi in agricoltura non offre alibi concreti agli aumenti annunciati per i prodotti alimentari in autunno anche per altri derivati dei cereali come pastasciutta, dolci e biscotti il cui prezzo si moltiplica fino a 70 volte dal campo alla tavola”.

I pesanti rincari previsti per i prodotti alimentari rischiano - sottolinea la Coldiretti - di avere effetti negativi sui consumi domestici, che sono già pesantemente calati dell’8,8% per il pane e del 5,4% per la pasta di semola, nel primo trimestre del 2007 (sul 2006), secondo i dati ismea - Ac Nielsen. E la situazione non è molto diversa - continua la Coldiretti - per altri prodotti di base a rischio rincari come il latte il cui prezzo si moltiplica per 4 dalla stalla allo scaffale.

I rincari non trovano giustificazione neanche in una presunta mancanza di prodotto “made in Italy” in quanto, secondo l’ultima rilevazione Ismea, la produzione di frumento duro nel 2007 in Italia - riferisce la Coldiretti - è aumentata sul 2006 dello 0,9% per 4,13 milioni di tonnellate, mentre per il grano tenero l’aumento è dello 0,6% per una produzione di 3,23 milioni di tonnellate. Il rischio è, dunque, che si manifestino comportamenti speculativi anche con l’aumento delle importazioni dall’estero di prodotti da spacciare come “made in Italy” in assenza di una adeguata informazione in etichetta. Una situazione resa possibile dal fatto che la metà della spesa degli italiani - denuncia la Coldiretti - è oggi destinata all’acquisto di prodotti “anonimi” di cui non si conosce la provenienza.

Si tratta quindi di completare il percorso iniziato, dopo la mucca pazza, nel 2002 quando è stata introdotta per la prima volta in Europa l’etichettatura di origine della carne bovina che si è unita all’obbligo di indicare varietà, qualità e provenienza nell’ortofrutta fresca, all’arrivo dal 1 gennaio 2004 del codice di identificazione per le uova, all’obbligo di indicare in etichetta, a partire dal 1 agosto 2004, il Paese di origine in cui il miele è stato raccolto, dall’obbligo scattato il 7 giugno 2005 di indicare la zona di mungitura o la stalla di provenienza per il latte fresco e, per ultimo, dal 17 ottobre 2005 all’etichetta del pollo “made in Italy” per effetto dell’influenza aviaria.

Ma molto resta ancora da fare e - rileva la Coldiretti - l’etichetta resta anonima per la carne di maiale, coniglio e agnello, per la pasta, le conserve vegetali come il pomodoro proveniente dalla Cina e i succhi di frutta, ma anche per l’extravergine di oliva con la possibilità di commercializzare olio ottenuto da miscele di origine diversa senza che questo venga indicato in etichetta. L’Italia si trova peraltro avvantaggiata in questo percorso grazie all'approvazione della legge n. 204/04 sull’etichettatura d’origine obbligatoria di tutti gli alimenti ottenuta con il sostegno di un milione di firme raccolte dalla Coldiretti.

Secondo una indagine Coldiretti-Ispo 8 italiani su 10 considerano necessario che debba essere sempre indicato in etichetta il luogo di origine della componente agricola contenuta negli alimenti e ben due italiani su tre sono d’accordo sul fatto che “se il prodotto alimentare è italiano sono più sicuro da dove proviene e quindi mi fido di più”.

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