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DA SLOW FOOD INVITO A RIFLETTERE SU ALLEVAMENTO INDUSTRIALE, SU IMPORTANZA TRACCIABILITÀ, BIODIVERSITÀ E RIDUZIONE DEL CONSUMO DI CARNE PER ARRESTARE PRODUZIONE DI MASSA E AVERE ALLEVAMENTI PIU’ SOSTENIBILI, PROMOVUENDO CONSUMO E DI QUALITA’

A causa della recente epidemia di febbre suina che sta colpendo anche gli esseri umani, “l’eccessivo allarmismo può indurre il consumatore a eliminare totalmente dalle proprie tavole la carne di maiale”: a partire da questo scenario, Slow Food invita a riflettere sulle metodologie di allevamento industriale degli animali e sui trasporti dei prodotti, sui controlli e la clonazione animale, ribadendo come l’importanza della tracciabilità e della tutela della biodiversità rappresentino gli strumenti più efficaci per evitare pandemie. Da sempre Slow Food sostiene una riduzione del consumo di carne per arrestare la continua rincorsa a massimizzarne la produzione, unico modo perché gli allevamenti siano più sostenibili e tengano conto del benessere dell’animale e per promuovere un consumo responsabile e di qualità. Per Slow Food, l’attuale situazione di criticità può essere occasione per mettere al centro della riflessione queste tematiche fondamentali, perché, “se è vero che in Italia il fenomeno della febbre suina al momento non è presente, certamente il problema degli allevamenti di stampo industriale sì”.

Prima di tutto, secondo Slow Food, occorre ribadire alcune importanti precisazioni: il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, come del resto tutti gli esperti e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, sono concordi nel dire che il virus H1N1, responsabile dell’epidemia in Messico, non si trasmette consumando carne di maiale. Ciò significa che la trasmissione della malattia non avviene per via alimentare, ma attraverso il contagio tra esseri viventi.

“Certo il problema esiste - afferma il Segretario nazionale di Slow Food Italia Silvio Barbero - e questa nuova epidemia, dopo la sindrome della mucca pazza e l’aviaria, tira in ballo di nuovo la questione del benessere dell’animale. Molti studiosi sospettano uno stretto legame tra il metodo di allevamento industriale, dove gli animali vivono ammassati l’uno contro l’altro in condizioni che poco hanno a che fare con la vita naturale, e la febbre suina. Sembra molto probabile infatti - sottolinea Barbero - che il contagio, ma soprattutto la mutazione dei virus siano più facili dove vi sia una grande concentrazione di animali come può avvenire negli allevamenti industriali, dove gli esemplari sono sottoposti a stress e a continui trattamenti terapeutici, per cui si generano le condizioni migliori per la trasformazione dell’agente virale”.

Oltre all’allevamento, un altro aspetto su cui porre massima attenzione è il trasporto animale, visto che il contagio avviene quando il suino infetto è vivo. Per questo motivo i controlli e i monitoraggi del Dipartimento Sanità Pubblica Veterinaria devono essere più che mai precisi e accurati. “Il fenomeno della febbre (o influenza) suina - prosegue Barbero - pone inoltre nuovi interrogativi sulla clonazione animale, la creazione cioè di esseri identici come corredo genetico. Tutti questi esemplari potrebbero trovarsi completamente indifesi nei confronti di un determinato virus. Bisogna quindi tutelare e diffondere la biodiversità animale, uno degli strumenti più efficaci per evitare pandemie”.

Slow Food sostiene da sempre una riduzione del consumo di carne con l’obiettivo di arrestare la continua rincorsa a massimizzarne la produzione. Questo è l’unico modo per avere allevamenti più sostenibili che tengano conto del benessere dell’animale e per promuovere così un consumo responsabile e di qualità. Su questo fronte diventa fondamentale anche una precisa e puntuale tracciabilità della filiera.

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