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QUELLA DEL FAST FOOD È UNA “FILOSOFIA” CONTRARIA ALLE NOSTRE RADICI CULTURALI. PERCHÉ IL CIBO, NELLA CIVILTÀ CRISTIANA, È CURA, RISPETTO E COMPARTECIPAZIONE CON CIÒ CHE SI MANGIA. EMERGE DALLA “LECTIO MAGISTRALIS” DEL CARDINALE GIANFRANCO RAVASI

Il cosiddetto “fast food” non è cibo salutare, lo sappiamo bene. Scarsa qualità, troppi grassi e mangiato in fretta. E la storia della nostra civiltà ci insegna che non fa male solo al corpo, ma anche allo spirito. Viviamo in “una società sbrigativa e superficiale, che ingurgita cibi a caso in un fast food, che ignora lo spreco alimentare, che si oppone all’ospitalità”: così il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, nella “Lectio magistralis” di scena ieri, a Roma, alla Fondazione Memmo.

Da dove viene questa riflessione? Dal tema stesso della conferenza, “Il simbolismo del cibo nella Bibbia”, analisi della simbologia profonda del pane e del vino nella nostra civiltà. Attenzione, nessun “pistolotto morale”, ma considerazioni culturali fondate sulla nostra storia. Perché “convertirsi” al fast food significa convertirsi anche alla sua logica, che sta all’opposto di quella cristiana. Dove è forte il legame ai corpi, alla storia, all’esistenza e, quindi, anche al cibo, nella sua accezione più vasta e culturale. “Per questo - spiega il presidente del Pontificio Consiglio per la cultura - ritornare alla civiltà e alla simbologia del cibo ha un valore culturale e spirituale”.

Basta pensare alle scene bibliche dove è il cibo il protagonista della simbologia della comunione - sociale e affettiva - umana: dal “dar da mangiare agli affamati e dar da bere agli assetati” alla mensa che Gesù allestisce per la folla che lo segue. Insomma, il cibo non è alimentazione meccanica del corpo, ma, al contrario, cura del rispetto per ciò che si mangia, per come lo si mangia e per coloro con i quali lo si mangia. D’altronde, lo diceva anche lo scrittore inglese Charles Lamb: “detesto l’uomo che manda giù il suo cibo affettando di non sapere che cosa mangia. Dubito del suo gusto in cose più importanti”.

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