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L’ECONOMIA DI CARTA UCCIDE QUELLA REALE ANCHE IN AGRICOLTURA, E DALLE PECORE AI MAIALI, GLI ANIMALI ITALIANI “INCROCIANO LE BRACCIA”: CON I PASTORI A CAGLIARI E CON GLI ALLEVATORI DELLA COLDIRETTI IN PIAZZA AFFARI A MILANO

Non Solo Vino
Un broker con un maiale in braccio

Dici animali in rivolta e pensi a “La Fattoria degli Animali”, il grande romanzo dello scrittore britannico George Orwell, ma questa volta a fare la rivoluzione uomini ed animali sono dalla stessa parte, per far capire che tra le “vittime” della speculazione finanziaria di cui tanto si parla ci sono anche alcuni prodotti simbolo del made in Italy. Il motivo? L’economia di carta uccide quella reale anche in agricoltura, e la crescita incontrollata del prezzo delle materie prime, insieme alla concorrenza sleale del falso made in Italy, non permette più agli allevatori di garantire pasti adeguati ai loro animali. E se migliaia di pastori sardi, con il “Movimento dei forconi” arrivato dalla Sicilia, sono tornati oggi a Cagliari, sulla scia di una protesta che dura ormai da mesi, contro la politica agricola della Regione, le ingiunzioni di Equitalia ed il prezzo del latte ovino (pagato 60 centesimi dai trasformatori, non certo remunerativi per i costi di produzione), una rivolta come quella dei maiali, forse non si era mai vista. La Borsa di Milano ha aperto oggi con i maiali, con tanto di coccarda tricolore, a razzolare in Piazza Affari, portati dagli allevatori di tutta Italia della Coldiretti per consegnarli a broker ed operatori della Borsa e denunciare lo stato di crisi del comparto: le speculazioni sono costate agli allevatori 300 milioni in un anno (+17%), con migliaia di aziende che hanno chiuso (-85% dal 2000 ad oggi) o stanno per chiudere, mentre oltre un tezo della carne di maiale, salumi o prosciutti consumati in Italia nel 2010 è stata ottenuta da maiali allevati all’estero (34%), e i prezzi che dal maiale alla braciola aumentano di ben 5 volte, a causa delle distorsioni di mercato. E la risposta del Ministero delle Poltiche Agricole, che ha convocato un tavolo suinicolo per il 29 luglio, non si è fatta attendere.

Dalla Lombardia al Veneto, dall’Emilia Romagna al Piemonte, dalla Toscana, alle Marche fino al Friuli, gli allevatori della Coldiretti sono arrivati da tutta Italia in Piazza Affari a Milano per denunciare le speculazioni internazionali sulle materie prime, dall’oro al petrolio fino ai mangimi, che hanno fatto impennare i costi per l’alimentazione degli animali e messo in ginocchio migliaia di allevamenti e la vera salumeria made in Italy.

“Le speculazioni su materie prime ed energia - stima la Coldiretti - sono costate in un anno almeno 300 milioni agli allevatori di maiali italiani con migliaia di aziende che hanno chiuso o stanno per farlo (uno dei settori simbolo del Made in Italy che fattura in Italia e nel mondo oltre 20 miliardi di euro, ndr). Gli allevatori vogliono consegnare piccoli maiali con coccarda tricolore agli operatori della borsa perchè dicono di non essere più in grado di farli crescere anche per la concorrenza sleale dei prodotti stranieri che vengono spacciati come made in Italy”. “La speculazione è servita a tavola”, “Voi controllate le borse noi il cibo”, “Meno finanza e più stalle”, “Globalizzazione senza regole tratta il cibo come i frigoriferi”, “Giù le mani dal Made in Italy”, “Più trasparenza in borsa e al mercato”, sono alcuni degli slogan urlati dai manifestanti “armati” di cartelli e colorate bandiere gialle.

Dal maiale alla braciola, denunciano poi gli allevatori, i prezzi aumentano di almeno 5 volte per effetto delle distorsioni che si verificano nel passaggio dalla stalla alla tavola con gli allevatori che sono costretti a chiudere le stalle e i consumatori a rinunciare alla carne. “Gli allevatori di maiali - dice la Coldiretti - sono stretti nella morsa dell’aumento dei costi di produzioni con le speculazioni sulle materie prime che hanno determinato rincari del 17% dei mangimi e delle distorsioni di filiera che sottopagano il nostro prodotto ad appena 1,4 euro al chilo mentre la braciola di maiali viene venduta mediamente a 6,85 euro al chilo, secondo le elaborazioni sui dati Sms consumatori”.

Il risultato è che per ogni euro speso per l’acquisto di carne di maiale appena 15,5 centesimi arrivano all’allevatore, 10,5 al macellatore, 25,5 al trasformatore e ben 48,5 alla distribuzione commerciale. Un’analisi che dimostra come nella forbice tra prezzi alla produzione e al consumo c’è, secondo la Coldiretti, un sufficiente margine per garantire una adeguata remunerazione agli allevatori e non aggravare i bilanci delle famiglie.

C’e’ un rischio di estinzione concreto per gli allevamenti italiani e con essi, sostiene la Coldiretti, dei prelibati prodotti della norcineria nazionale dalle tavole degli italiani con ben 33 prodotti che hanno ottenuto dall’Unione Europea il riconoscimento di denominazione di origine: dal prosciutto di Parma al san Daniele fino culatello di Zibello. E il tutto, a fronte del fatto che la carne di maiale fresca o trasformata è la più acquistata dagli italiani che ne consumano ben 37,2 chili a testa, ma in 10 anni, sottolinea la Coldiretti, si è praticamente dimezzato il numero delle stalle italiane (-85%) che è passato dai 193.000 del 2000 alle 26.000 attuali dove si allevano 9,3 milioni di maiali soprattutto in Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto, ma anche l’Umbria e la Sardegna sono regioni vocate.“Una situazione che rischia di aggravarsi con effetti anche occupazionali nella filiera della carne suina dove - aggiunge la Coldiretti - lavorano in Italia circa 120.000 addetti tra allevamento, macellazione, trasformazione e distribuzione”.

Nel 2010 l’Italia, precisa la Coldiretti, ha importato quasi 1 milione di maiali dall’estero (+22% rispetto al 2009) ed oltre 1 milione di tonnellate di carne di maiale (+12%). Questo significa che oltre un terzo (34%) della carne di maiale, salumi o prosciutti consumati in Italia è stata in realtà ottenuta da maiali allevati all’estero: 3 prosciutti su 4 dunque venduti in Italia sono in realtà ottenuti da maiali allevati all’estero, ma i consumatori non lo sanno perché non è obbligatorio indicare in etichetta la provenienza. L’Italia, aggiunge Coldiretti, ha importato 62 milioni di cosce di maiale destinate, con la trasformazione e la stagionatura, a diventare prosciutti “made in Italy” con un inganno nei confronti dei consumatori e danni per i produttori che subiscono una concorrenza sleale. Anche perché - spiega la Coldiretti - mentre negli allevamenti italiani i maiali sono alimentati con prodotti di qualità sulla base di rigorosi disciplinari di produzione Dop, all’estero si usano spesso sottoprodotti se non addirittura sostanze illegali come è accaduto nel recente scandalo dei mangimi alla diossina prodotti in Germania e utilizzati negli allevamenti di polli e maiali”.

C’è poi il fatto che “sul mercato - sostiene la Coldiretti - è facile acquistare prosciutti contrassegnati dal tricolore, con nomi accattivanti come prosciutto nostrano o di montagna che in realtà non hanno nulla a che fare con la realtà produttiva nazionale. Una situazione favorita dall’inerzia dell’Unione Europea che dopo i recenti allarmi sanitari ha deciso di estendere con un regolamento l’obbligo di indicare in etichetta la provenienza della carne di maiale, al pari di quanto è stato fatto con quella bovina dopo l’emergenza mucca pazza, ad esclusione però degli alimenti trasformati come salami e prosciutti dove più spesso - aggiunge la Coldiretti - si nasconde l’inganno. Gli allevatori della Coldiretti chiedono che vengano emanati i provvedimenti applicativi previsti dalla legge nazionale sull’etichettatura di origine approvata all’unanimità dal Parlamento italiano all’inizio dell’anno che prevede l’obbligo di indicare l’origine per tutti gli alimenti.

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