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IL “MADE IN ITALY CHE NON C’È PIÙ”, SOLO CON MARCHI TOP, VALE 5 MILIARDI DI FATTURATO ALL’ANNO. E LA CONQUISTA STRANIERA DELL’AGRO-ALIMENTARE ITALIANO DEVE ESSERE FRENATA. L’ALLARME COLDIRETTI. IL MINISTRO: “PAC STRUMENTO DI TUTELA PER MADE IN ITALY”

Non Solo Vino
Gancia, l’ultimo acquisto di made in Italy fatto dagli stranieri

È iniziata nel 1988, con i marchi italiani della cioccolata Perugina e della pasta Buitoni acquisiti dalla multinazionale svizzera Nestlè, per arrivare (per ora) alla Pelati “Ar” Antonino Russo passata nelle mani giapponesi di Mitsubishi pochi giorni, la “scalata” straniera ad alcuni tra i marchi più affermati del made in Italy in tavola. In mezzo, andando indietro nel tempo, ci sono la storica cantina piemontese Gancia passata ai russi di Russian Standard Corporation, Parmalat, Galbani, Invernizzi e Locatelli oggi nelle mani francesi di Lactalis nel 2011, l’olio Bertolli, Carapelli e Sasso agli spagnoli di Sos, la birra Peroni del colosso sudafricano del beverage SabMiller, le Fattorie Scaldatole ai francesi di Andros, e ancora l’acqua San Pellegrino e l’Antica Gelateria del Corso di proprietà di Nestlè. Eccolo, il “made in Italy che non c’è più” (e che ha fatturato più 5 miliardi di euro nell’ultimo anno), come lo ha ribattezzato Coldiretti, che a Fieragricola (2-5 febbraio, Veronafiere), ha allestito uno scaffale d’antan per richiamare l’attenzione su quello che l’organizzazione guidata da Sergio Marini considera un grande rischio per l’Italia. Già, perché “ad essere presi di mira sono sopratutto i prodotti simbolo dell’Italia e della dieta mediterranea, dall’olio al vino fino alle conserve di pomodoro.
Nello spazio di dodici mesi - sottolinea Marini - sono stati ceduti all’estero tre pezzi importanti del made in Italy alimentare che sta diventando un appetibile terra di conquista per gli stranieri, con la tutela dei marchi nazionali che è diventata una priorità per il Paese, da attuare anche con una apposita task force. Si è iniziato con l’importare materie prime dall’estero per produrre prodotti tricolori. Poi si è passati ad acquisire direttamente marchi storici e il prossimo passo rischia di essere la chiusura degli stabilimenti italiani per trasferirli all’estero”.
Un rischio che, per Coldiretti, va combattuto subito, perché la crisi offre terreno fertile a chi ha capitali liquidi da investire: “occorre accelerare nella costruzione di una filiera agricola tutta italiana che veda direttamente protagonisti gli agricoltori per garantire quel legame con il territorio che ha consentito ai grandi marchi di raggiungere traguardi prestigiosi”, aggiunge Coldiretti. Che punta fortissimo alla rete di botteghe degli agricoltori di Campagna Amica che, per l’organizzazione agricola, “si affianca alla grande distribuzione e ai negozi di prossimità, e va ad integrare la rete già attiva delle oltre 5.000 aziende agricole trasformate in punti vendita e dei 1.000 mercati degli agricoltori già presenti su tutto il territorio nazionale. Si tratta della prima catena di vendita diretta organizzata degli agricoltori italiani che offre esclusivamente made in Italy garantito dalla Fondazione Campagna Amica”. E poi, per Coldiretti, è fondamentale “applicare con trasparenza la legge nazionale sull’obbligo di indicare la provenienza in etichetta su tutti gli alimenti approvata dal Parlamento all’unanimità nel 2011, perché oggi, secondo uno studio Coldiretti/Eurispes, il 33% della produzione complessiva dei prodotti agroalimentari venduti in Italia ed esportati deriva da materie prime agricole straniere, trasformate e vendute con il marchio made in Italy, per un fatturato stimato in 51 miliardi”. Certo, se colossi multinazionali stranieri investono tanti soldi per accaparrarsi marchi importanti del made in Italy vuol dire che l’allure dell’Italia, almeno quando si tratta di cibo e vino, è intatto e vale molto, anche sul piano commerciale. E almeno questa, infondo, è una bella notizia.

Focus - La cronistoria del “made in Italy che non c’è più” by Coldiretti
“L’ultimo “pezzo da novanta” del Made in Italy a tavola a passare in mani straniere è stata la Ar Pelati, acquisita dalla società Princes controllata dalla Giapponese Mitsubishi. Poche settimane prima era toccato alla Gancia, casa storica per la produzione di spumante, essere acquistata dall’oligarca Rustam Tariko, proprietario della banca e della vokda Russki Standard. La francese Lactalis è stata, invece protagonista dell’operazione che ha portato la Parmalat finire sotto controllo transalpino. Ma andando indietro negli anni non mancano altri casi importanti, dalla Bertolli, acquisita nel 2008 dal gruppo spagnolo Sos, alla Galbani, anche questa entrata in orbita Lactalis, nel 2006. Lo stesso anno gli spagnoli hanno messo le mani pure sulla Carapelli, dopo aver incamerato anche la Sasso appena dodici mesi prima. Nel 2005 la francese Andros aveva acquisito le Fattorie Scaldasole, che in realtà parlavano straniero già dal 1985, con la vendita alla Heinz. Nel 2003 hanno cambiato bandiera anche la birra Peroni, passata all’azienda sudafricana SABMiller, e Invernizzi, di proprietà da vent’ani della Kraft e ora finita alla Lactalis. Negli anni Novanta erano state Locatelli e San Pellegrino ad entrare nel gruppo Nestlè, anche se poi la prima era stata “girata” alla solita Lactalis (1998). La stessa Nestlè possedeva già dal 1995 il marchio Antica gelateria del corso e addirittura dal 1988 la Buitoni e la Perugina.

La scheda - I marchi del “made in italy che non c’e’ più”
2012 - Pelati Ar - Antonino Russo - acquisito nel 2012 dalla società Princes controllata dalla Giapponese Mitsubishi
2011 - Parmalat - acquisita dalla francese Lactalis; Gancia - acquisito dell’oligarca Rustam Tariko, proprietario della banca e della vokda Russki Standard
2008 - Bertolli - venduta a Unilever e quindi acquisita dal gruppo spagnolo Sos
2006 - Galbani - acquisita dalla francese Lactalis; Carapelli - acquisita dal gruppo spagnolo Sos
2005 - Sasso - acquisita dal gruppo spagnolo Sos; Fattorie Scaldasole - venduta a Heinz nel 1995 e quindi acquisita dalla francese Andros
2003 - Peroni - acquisita dall’azienda sudafricana SabMiller; Invernizzi - venduta a Kraft nel 1985 e quindi acquisita dalla francese Lactalis
1998 - Locatelli - venduta a Nestlè e quindi acquisita dalla francese Lactalis; San Pellegrino - acquisito nel 1998 dalla svizzera Nestlè
1993 - Antica Gelateria del Corso - acquista dalla svizzera Nestlè
1988 - Buitoni - acquisito dalla svizzera Nestlè; Perugina - acquisito dalla svizzera Nestlè[12.21.03] Federico Pizzinelli:

Focus - Il Ministro Catania a Fieragricola: “Pac sia strumento di tutela per il made in Italy. VeronaFiere è il “tempio” dell’agroalimentare italiano”
Che l’autenticità del made in Italy sia un punto cruciale per l’economia italiana, non solo agricola, lo sostiene anche il Ministro delle Politiche Agricole Mario Catania: “Chiederò a Bruxelles che la Pac sia uno strumento di tutela dell’agricoltura italiana, che faccia chiarezza in termini di regole e che distribuisca risorse adeguate ai produttori. Serviranno regole più rigide sulle indicazioni dei prodotti, sull’etichettatura e sulla difesa del vero made in Italy dalle contraffazioni” ha detto nell’apertura di Fieragricola. Per il ministro, allineati contro l’agropirateria e le contraffazioni alimentari si muoverebbero anche “i decreti sulle liberalizzazioni nell’agroalimentare, che puntano a migliorare l’equilibrio della redditività, oggi eccessivamente sbilanciato verso la grande distribuzione”. E proprio da Verona, per il Ministro, che ha incontrato il direttore della Commissione Agricoltura dell’Unione Europea José Manuel Silva Rodriguez e i presidenti delle organizzazioni agricole, è un momento fondamentale di confronto anche tra istituzioni e imprenditori agricoli: “Fieragricola riveste da sempre un ruolo particolare per l’agricoltura italiana ed europea. Ma è Veronafiere a rappresentare il tempio dell’agroalimentare, con diverse manifestazioni di primo piano, a partire da Vinitaly, che è un evento mondiale e che mette in risalto le eccellenze del made in Italy”.
Catania ha approfittato della visibilità di Fieragricola (“cuore del dibattito in un momento di crisi”, come l’ha definita il vice presidente di VeronaFiere, Claudio Valente) anche per inviare anche un messaggio ai pescatori, in stato di agitazione: “sono vicinissimo alle loro esigenze - ha dettp - ma non possiamo in alcun modo andare contro le decisioni dell’Unione europea in materia di stock delle specie pescabili”.

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