Un frutteto antico visitato e invidiato da tutta Italia perché, con le sue 700 varietà di frutti antichi, ha il merito di difendere la biodiversità che, negli anni, l’agricoltura intensiva ha “semplificato”: il fenomeno si chiama “erosione genetica” e in un secolo ha divorato il 75% della biodiversità, mentre secondo la Fao il 12,5% delle piante a livello mondiale potrebbe essere cancellato nel giro di pochi anni. Un frutteto come quello dell’azienda sperimentale Stuard della Provincia di Parma, coltivato a San Pancrazio grazie a 25 anni di ricerca sul territorio, che oggi rappresenta uno degli ultimi baluardi della biodiversità, ma al suo posto potrebbe sorgere un edificio. La Provincia ha deciso di costruire sul frutteto la nuova sede dell’Istituto Agrario “F. Bocchialini”, suscitando le ire dei cittadini e del mondo dei Gas - Gruppi di Acquisto Solidale riuniti nella rete Intergas che, a difesa del frutteto, ha lanciato la campagna “Salviamo il frutteto Stuard”, con tanto di raccolta firme che ha già raggiunto quota 1.322 adesioni.
Il frutteto è diventato anche oggetto di una interrogazione del consigliere provinciale della Lega Nord Giovanni Battista Tombolato che alla giunta chiede se “non ritenga utile rivedere il progetto per salvare questo frutteto” e di poter ricevere la documentazione del progetto. Nel frattempo, a nulla valgono le rassicurazioni da parte dell’azienda Stuard, che si è impegnata a ripiantumare il frutteto in altri terreni perché “tra l’innesto e l’entrata in produzione di nuove piante passano 4-8 anni nel caso di varietà antiche. Nel frattempo, e anche dopo, non si potrà più definire la scuola come una struttura impegnata nella valorizzazione della biodiversità”, fa sapere da Intergas.
Lo scopo del frutteto è proprio quello di conservare la biodiversità e di costituire una collezione viva che conta oltre 700 varietà di frutti antichi da mostrare a chi visita la struttura o per realizzare mostre di valore scientifico e culturale.
Secondo lo studio “La biodiversità frutticola nel Parmense”, realizzato proprio dall’Itas “F. Bocchialini”, in Italia sono 300 le specie a rischio su un totale di 5.600, ma la cifra è destinata ad aumentare. Basta pensare che nel 1901 Girolamo Molon aveva elencato 150 varietà di mele, molte le quali di origine italiana. Oggi, invece, la produzione nazionale è principalmente basata su tre sole varietà: Golden delicious, Red delicious e Rome Beauty. Per quanto riguarda le pere, anche in questo caso la vasta produzione italiana si basa su appena 4 varietà: Abate Ferel, Conference, William e Decana del Comizio. Restringendo il campo alla sola Parma, il documento rileva che nel XVIII secolo esistevano nella zona 76 varietà di frutti coltivati: 23 varietà di mele, 42 di pere e 11 di susine. Oggi restano invece appena 11 varietà di mele, 13 di pere e solo 5 di susine, molte della quali raramente coltivate. Insomma, il rischio denunciato è quello di dover addio per sempre alle mele Duriella e Ceriana, alle pere Nobile e Martino, alla susina Zecchella e ai marroni di Campora.
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