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“EXPORT DECISIVO PER L’AGROALIMENTARE CHE GODE DI UN OTTIMO POSIZIONAMENTO, MA C’È BISOGNO DI PIÙ INTERNAZIONALIZZAZIONE”. LO DICE LO STUDIO INTESA SANPAOLO SULLO “SCENARIO MACROECONOMICO E LE STRATEGIE NEL SETTORE FOOD”

Non Solo Vino
Più internazionalizzazione per il wine & food italiano

Il settore del food & beverage ha mostrato negli ultimi anni una migliore capacità di tenuta delle quote sui mercati mondiali rispetto al complesso manifatturiero. In particolare nei prodotti di fascia qualitativa alta, che rappresentano ben il 46% del nostro export, la quota italiana sui mercati mondiali ha raggiunto nel 2010 il 5,2% (a partire dal 4,7% del 2000).

Le esportazioni italiane sono cresciute a buoni ritmi nella prima parte del 2012: l’export del settore alimentare, bevande e tabacco nei primi sette mesi dell’anno è aumentato del 7,8%, con risultati particolarmente positivi nei mercati non Ue (+13,7%, con in evidenza gli Stati Uniti +9,3%, il Giappone +22,8%, la Cina+26,8%, i paesi Opec +38,8%). Buona anche la tenuta nei paesi dell’Unione europea: Francia +7,1, Regno Unito +6,6%, Germania +5,3%.

Questo è lo “zoccolo duro” rappresentato dall’economia che muove il settore dell’agroalimentare italiano e che, secondo lo studio “Percorsi innovativi per la crescita internazionale - Un confronto sulle dinamiche del settore food e sui nuovi modelli competitivi”, realizzato da Intesa Sanpaolo in collaborazione con il Consorzio Italia del Gusto e il Gruppo Food, consolida un settore troppo spesso, forse, lasciato ai margini dell’economia sana del bel Paese, costretta, in questo momento di crisi strutturale, a trovare nuova linfa per un sviluppo solido e decisamente non volatile.

Ma Occorre sfruttare maggiormente questo potenziale: la propensione all’export dell’alimentare italiano è inferiore a quanto si riscontra soprattutto in Germania e Francia. Uguagliare la Germania, che ha più di 9 punti % in più di export/fatturato, significherebbe aumentare le nostre esportazioni del 38%, pari a quasi 10 miliardi di euro, una cifra considerevole che darebbe un importante sostegno alle imprese alimentari italiane.

Raggiungere questi risultati significherà soprattutto rafforzare le numerosissime Piccole e medie imprese che caratterizzano il settore anche sui mercati esteri. Basti pensare che il peso di queste imprese sulle esportazioni alimentari italiane è pari al 62%, a differenza di quanto accade in Germania e Francia dove questa quota è pari al 37% circa.

Una presenza più stabile sui mercati, anche con strutture commerciali proprie o in collaborazione, e una forte spinta a favore dell’innovazione a tutti i livelli (di prodotto, di processo, di packaging, organizzative...) rappresentano le leve strategiche principali da attivare, anche a fronte dei vincoli legati alla natura deperibile dei prodotti e alle diversità nelle abitudini alimentari nei diversi paesi.

Già ora le imprese alimentari italiane che hanno scelto questa strada hanno raggiunto risultati importanti: l’analisi di un campione di circa 3,500 bilanci del settore mostra come il differenziale tra imprese innovatrici e non innovatrici supera i due punti percentuali sia in termini di crescita del fatturato 2009-2011 (12,3% vs. 9,8%) che di margini operativi lordi (8,3% sul fatturato vs. 6%).

Il settore alimentare italiano deve, pertanto, proseguire il percorso di rafforzamento già iniziato negli ultimi anni, che ha visto le nostre imprese aumentare le spese per la ricerca e lo sviluppo rispetto al valore aggiunto nel settore dallo 0,4% del 2000 allo 0,6% del 2010, un dato che non è più molto lontano da quello tedesco (0,8%).

Sembrano queste le leve fondamentali, secondo lo studio di Intesa Sanpaolo, capaci di fronteggiare una crescita economica globale che si sta indebolendo. Anche se non tutta la responsabilità è imputabile all’area dell’euro, non c’è dubbio che la crisi dell’eurozona sta contribuendo a rallentare il commercio mondiale, condizionando anche l’evoluzione dell’economia italiana, che soffre della restrizione fiscale necessaria a soddisfare i vincoli di bilancio. La lunga fase di contrazione del nostro paese inizierà a rallentare soltanto negli ultimi mesi del 2012. La ripresa sarà comunque lenta: la dinamica delle esportazioni nette riuscirà a compensare solo parzialmente la caduta significativa della domanda interna, sia per investimenti che per consumi.

Anche nei prossimi anni il settore alimentare continuerà pertanto a essere condizionato dalla debolezza del mercato italiano e di quelli dell’Eurozona. I mercati extra-europei, soprattutto quelli di recente industrializzazione, saranno una via obbligata per la crescita delle imprese alimentari italiane che attualmente esportano prevalentemente sui mercati più vicini.

Il convegno di ieri a Milano, dove è stato presentato lo studio di Intesa Sanpaolo sul settore agroalimentare è il primo incontro che Intesa Sanpaolo dedica a un comparto cruciale per l’economia italiana: l’incidenza del settore sul Pil italiano è infatti molto elevata, superiore a quella che si riscontra in molti altri paesi europei. Nonostante la debolezza strutturale dei consumi, causata dal perdurare della crisi, il comparto del food italiano rappresenta, infatti, un modello di eccellenza che contribuisce in modo significativo alla crescita delle nostre esportazioni, in particolare nei prodotti di fascia alta, dove siamo tra i principali esportatori mondiali.

L’obiettivo dell’incontro dunque è stato quello di offrire un panorama sulle sfide che attendono le aziende nei prossimi anni, dalla crescente concentrazione dei concorrenti esteri al peso decisivo delle catene distributive, dall’accesso ai mercati internazionali all’innovazione, anche tecnologica, dei prodotti e dell’offerta commerciale.

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