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CUCINARE CON GLI SCARTI, OVVERO LA SPENDING REVIEW A TAVOLA: CHI L’HA DETTO CHE LA BUCCIA DI PATATA È DA BUTTARE E LE FOGLIE DI CAROTA NON SI MANGIANO? DAI PRIMI DEL ’900 AD OGGI I CONSIGLI SU COME FARE IN CUCINA IN TEMPI DIFFICILI TRA VOLUMI E WEB

Chi l’ha detto che la buccia di patata è da buttare via e che le foglie delle carote non si mangiano? In quest’ultimo caso, tra l’altro, la parte verde contiene più vitamine che le carote stesse, e cotta a vapore e condita con olio e limone è buonissima. Almeno stando ai consigli contenuti nell’ultimo volume, in ordine di tempo, che ci insegna a cucinare con ciò che normalmente in cucina viene considerato scarto. Perché in tempi di crisi il primo comandamento è: non sprecare. Il volume in questione, edito da Ponte alle Grazie, è “Cucinare senza sprechi” di Andrea Segrè, direttore del dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari dell’Università di Bologna, fondatore e presidente di Last Minute Market, spin off accademico diventato laboratorio di riferimento europeo per la riduzione e il recupero a fini solidali degli sprechi alimentari.
Un titolo che si inserisce nel filone che affonda le proprie radici non nell’attuale crisi, ma nel dopoguerra e nella saggezza dei nonni: si va da “L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa” di Olindo Guerrini del 1918, a “La cucina del tempo di guerra” di Lunella della Seta del 1942, fino alle “ricette con gli avanzi” di Luciano Imbriani del 1973. Filone dimenticato e ora tornato alla ribalta in tempi di spending review casalinga, come dimostrano titoli come “Il gourmet degli avanzi” di Allan Bay (2003) e “La fame aguzza l’ingegno: cucina buona in tempi difficili” di Andrea Perin (2005). Senza dimenticare il web, dove si moltiplicano i consigli per cucinare a impatto e sprechi zero. La blogger più famosa in questo campo è Lisa Casali che all’arte di cucinare con gli scarti dedica il suo ecocucina.org dal quale ha tratto anche un libro di ricette. Si va dalla pasta ai piccioli di peperone al pesto di foglie di ravanello alle bruschette con le bucce di melanzana sott’olio, senza dimenticare pane raffermo, bucce e baccelli, coste e gambi delle verdure.
In “Cucinare senza sprechi” Segrè raccoglie numerose ricette pensate per mettere a dieta la pattumiera, ma anche per sfruttare al massimo la nostra spesa: basta pensare alle fave, dove i baccelli (che vengono buttati via) rappresentano il 60% del peso totale del prodotto. Cucinati a dovere possono invece trasformarsi nell’ingrediente gustoso di numerose ricette: dai primi piatti ai contorni. Stesso discorso per tutti gli altri scarti di verdura: si va dalla pasta con foglie e gambi di broccoli alla salsa di yogurt con la buccia dei cetrioli. E anche ciò che non può essere più cucinato, trova un secondo utilizzo: le bucce esterne delle cipolle possono essere utilizzate per colorare le uova sode e lo yogurt scaduto, consiglia Segrè, per lucidare l’ottone.
Consigli preziosi, visto che, a livello domestico, si stima che mediamente si sprechi il 17% dei prodotti ortofrutticoli acquistati, il 15% di pesce, il 28% di pasta e pane, il 29% di uova, il 30% di carne e il 32% di latticini. Se ogni famiglia italiana spende per fare la spesa oltre 6.000 euro l’anno (la spesa alimentare è la seconda voce di spesa per gli italiani dopo l’abitazione), lo spreco costa ogni anno 1.600 euro, essendo circa il 27% del totale acquistato. Trasformando in euro i dati sopra riportati si puo’ dire che sono finiti nel bidone della spazzatura oltre 3,5 miliardi di euro, lo 0,23% del Prodotto interno lordo italiano. Al di la’ del budget familiare, imparare a ridurre gli sprechi alimentari significa tenere conto dell’impatto ambientale ed economico dell’intera filiera dell’agroalimentare, dal campo alla tavola. Secondo i dati della Fao, nel mondo infatti si getta via più di un terzo del cibo prodotto: se si recuperassero tutti questi scarti, si potrebbe dare da mangiare per un anno a meta’ della popolazione mondiale, circa 3,5 miliardi di persone. Secondo la direzione generale per l’Ambiente della Commissione Europea, lo spreco alimentare nell’Ue ammonta a 89 milioni di tonnellate, pari a circa 180 kg di cibo gettato per ogni abitante. La parte del leone la fanno gli sprechi domestici, oltre il 40% del totale, pari al 25% della spesa alimentare per peso; in kg sono 76 pro capite per anno. Gli sprechi nella filiera agroalimentare europea si ripartiscono così: 39% produzione e trasformazione, 5% vendita all’ingrosso e al dettaglio, 14% ristorazione e 42% uso domestico.
Spreco che varia molto fra gli Stati membri: il massimo è raggiunto dall’Olanda con 579 kg, il minimo dalla Grecia con 44 kg. L’Italia è sotto la media, con 149 kg pro capite per anno. Il nostro Paese non è più sprecone degli altri Stati membri, ma facendo la somma in termini di quantità, considerando il settore agricolo, quello industriale e quello distributivo, siamo attorno ai 3,5 milioni di tonnellate. Nei campi non si raccoglie il 3,2% della produzione agricola, equivalente a oltre 1,5 milioni di tonnellate di prodotto agricolo, includendo frutta, ortaggi e cereali. Quanto basterebbe per soddisfare le esigenze di frutta e verdura giornaliera per un anno (5 porzioni al giorno raccomandate dall’Oms) di circa 8,3 milioni di persone. Nell’industria agroalimentare italiana lo spreco medio ammonta al 2,6% della produzione finale totale, che porta a uno spreco complessivo di quasi 1,8 milioni di tonnellate di prodotti alimentari. I settori che hanno maggiori scarti sono quello della lavorazione e conservazione dell’orto-frutta (17%) e l’industria lattiero-casearia (16%). Con lo spreco dell’industria e della Grande Distribuzione sarebbe possibile sfamare (tre pasti al giorno colazione, pranzo e cena) almeno 4 milioni di persone per un anno intero secondo gli standard nutrizionali della Fao.

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