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LAVOCE.INFO: IN ITALIA, IL 13% DEI LAVORATORI HA UN SALARIO INFERIORE AI MINIMI CONTRATTUALI, RECORD IN EUROPA, E IN AGRICOLTURA È ADDIRITTURA IL 40%. IL CONTRATTO NAZIONALE DÀ PIÙ GARANZIE CHE NEGLI ALTRI PAESI, MA SONO IN POCHI AD ESSERE TUTELATI

In Italia il 13% dei lavoratori ha un salario inferiore ai minimi contrattuali, e il settore più colpito in assoluto è l’agricoltura, dove il 40% di chi lavora nei campi non gode di condizioni contrattuali consone, seguito dal 30% delle costruzioni e dal 20% delle attività artistiche e intrattenimento e nei servizi di hotel e ristorazione. Lo dice lo studio di Andrea Garnero per lavoce.info, secondo cui l’Italia si aggiudica il record negativo con un discreto vantaggio su altri Paesi in cui è previsto un salario minimo fissato per legge.

Paradossalmente, rimane diffusa la convinzione, anche tra i vertici sindacali, che i minimi previsti dai contratti nazionali delle diverse categorie tutelino maggiormente i lavoratori. In uno studio con Stephan Kampelmann e François Rycx dell’Université Libre de Bruxelles in corso di pubblicazione per l’Istituto sindacale europeo (Etui), Garnero ha raccolto per la prima volta i dati dei salari minimi contrattuali in oltre 1.100 contratti collettivi in sei Paesi europei senza un salario minimo nazionale (Italia, Germania, Austria, Finlandia e Danimarca oltre al Belgio che ha un sistema duale in cui la negoziazione collettiva si aggiunge ad un salario minimo nazionale).

I risultati, confermati da un’analisi econometrica, mostrano effettivamente che i Paesi con contratti collettivi, come l’Italia, tendono ad avere in media salari minimi più elevati rispetto ai paesi con salari minimi nazionali in proporzione al salario mediano. L’Italia in particolare è il Paese europeo con i salari minimi più elevati in proporzione al salario mediano. Visto così il contratto nazionale sembra davvero dare garanzie più forti rispetto a un minimo nazionale, soprattutto in Italia. In realtà, però, i risultati della ricerca mostrano che il salario minimo non e’ sempre rispettato.

Nonostante i salari minimi in termini relativi siano molto elevati in Italia essi lasciano scoperta una fetta importante di persone. Ciò avviene nei casi di lavoro nero o semplicemente quando il datore di lavoro deliberatamente (o per sbaglio se il sistema è complesso) paga meno del dovuto. Inoltre, nei settori in cui altre forme di remunerazione come le mance rappresentano una fonte di entrata significativa, il riferimento contrattuale potrebbe essere meno rilevante.

Infine, e più grave perché perfettamente nei confini della legge, i contratti nazionali non danno garanzie alle forme di impiego precario (tipo i contratti a progetto) o a chi lavora a prestazione. Il contratto nazionale garantisce un salario più elevato ma al prezzo di una fetta crescente di persone escluse. In tutti i Paesi una parte di lavoratori, anche in presenza di un salario minimo nazionale che in teoria dovrebbe applicarsi per legge a tutti, guadagna meno del corrispettivo previsto. In Germania questo problema (cresciuto con il proliferare dei mini-jobs) è alla base del crescente consenso per un salario minimo nazionale, almeno per alcuni settori. L’Italia, però, è il Paese con la quota di persone “escluse” più elevata, circa il 13%, con picchi di oltre il 40% nel settore dell’agricoltura, del 30% nelle costruzioni e oltre il 20% nelle attività artistiche e intrattenimento e nei servizi di hotel e ristorazione. I sindacati hanno quindi ragione sulla carta: la contrattazione garantisce un salario più elevato, ma solo a chi ne è effettivamente coperto. Una fetta importante, e probabilmente crescente, ne rimane esclusa. Il sistema così com’è quindi non basta. La via preferita dai sindacati per ridurre il numero degli esclusi è quella di includere i precari nella contrattazione collettiva. Sicuramente utile, ma ancora più efficace se accompagnata ad un salario minimo (o equo compenso) davvero di base per tutti.

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