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NEL 2002 INVESTIVANO NEI MERCATI INTERNAZIONALI E NELL’EXPORT 2 IMPRESE ITALIANE DEL WINE & FOOD SU 10. OGGI SIAMO AL 51%. NUMERI FEDERALIMENTARE, CHE TESTIMONIANO UNA VOLTA DI PIÙ QUANTO I MERCATI ESTERI SIANO FONDAMENTALI PER IL BELPAESE DEL GUSTO

Non Solo Vino
Export cassaforte per le imprese del wine and food italiano

Nel 2002 investivano nei mercati internazionali e nell’export 2 imprese italiane del wine & food su 10. Oggi siamo al 51%. Numeri di Federalimentare, da un’indagine su oltre 1.000 imprese di tutto il Belpaese, diffusi al Cibus Global Forum di Parma, che testimoniano una volta di più quanto i mercati esteri siano fondamentali per la vita e la crescita dell’agroalimentare italiano. Una scelta lungimirante per molti, obbligata per tanti, visto che i consumi interni calano da anni, mentre le esportazioni sono cresciute anche in tempo di crisi, tanto da raggiungere i 25 miliardi nel 2012 (il 20% dell’intero fatturato dell’agroalimentare), e con una crescita del 13% nei primi 3 mesi del 2013, che fanno sperare in un nuovo record in valore a fine anno. Un successo, quello dell’export agroalimentare del Belpaese, testimoniato spesso dai grandi marchi, ma realizzato di una miriade di piccole e piccolissime aziende (con meno di 50 dipendenti), che rappresentano il 90% delle realtà esportatrici. Tra i prodotti, a fare la parte del leone, il vino, che rappresenta da solo il 20% delle esportazioni totali, seguito da pomodori pelati e conserve vegetali (12%), dolci (12%) formaggi e latticini (10%) pasta (9%), olio d’oliva (7%) prosciutti e salumi (5%) e caffè (4%).

“Negli ultimi mesi, la crisi ha investito pesantemente il mercato interno e la produzione industriale - ha dichiarato Filippo Ferrua Magliani, presidente di Federalimentare - e solo le esportazioni sono rimaste fuori dai nuovi processi involutivi, confermando dinamiche espansive grazie agli sforzi degli operatori nazionali, diretti a trovare all’estero gli spazi di crescita negati dal mercato interno.
L’export dell’industria alimentare - continua Ferrua - ha chiuso il 2012 a quota 24.718 milioni di euro, con una crescita del +7% sul 2011 e mantenendo un passo quasi doppio rispetto all’export dell’industria italiana nel suo complesso (+3,6%). Nel primo trimestre del 2013, abbiamo già toccato quota +12% rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. “A far da traino alle esportazioni nel nostro Paese sono stati senza ombra di dubbio 3 fattori imprescindibili ed 1 di supporto: in primo luogo, l’elevata qualità dei nostri prodotti; in seconda battuta, la straordinaria flessibilità produttiva delle nostre aziende, capaci di diversificare i prodotti esportati a seconda delle richieste dei mercati di riferimento; e infine il forte ricambio generazionale attuato all’interno delle imprese. In ultimo, è stato riscontrato un rapporto virtuoso tra export ed accesso al credito: sono infatti le aziende che ottengono il credito più facilmente quelle che riescono ad esportare maggiormente sui mercati internazionali. Tuttavia, si può fare di più e meglio. Preoccupa, ad esempio, la difficoltà a consolidare i mercati più lontani, da parte soprattutto delle Pmi del settore. Emblematica, in questo senso, è la difficoltà incontrata in Cina da un “apripista” come il vino italiano, che si è fermato al quinto posto fra i fornitori, con una quota del 6%, mentre la Francia supera da sola il 52% delle importazioni enologiche cinesi. Gli scenari e gli strumenti di sostegno all’export dovranno servire perciò ad affinare le strategie promozionali, ad evitare che la fase di presidio iniziale dei nuovi mercati venga accaparrata dalla concorrenza, per non trovarsi poi relegati nel ruolo difficile di inseguitori”.

I margini di crescita, in effetti, non sembrano mancare, se l’alimentare (dati Confindustria/Federalimentare), tra le imprese manifatturiere del cosiddetto “bello e ben fatto”, portabandiera nel mondo della dolce vita italiana, resta all’ultimo posto in quanto a peso dell’export sul fatturato totale: il 20% del food & drink, si misura con il 40% circa di abbigliamento e arredamento, con il 60% delle calzature, il 70% dell’occhialeria e l’80% dell’oreficeria.
“Sconta certamente un problema legato alla dimensione delle aziende, ma paga anche lo scotto, in termini di competitività, di un costo del lavoro tra i più alti in Europa (con il 42% di tasse indirette sul salario stacchiamo di 4-5 punti Francia e Germania e di circa 10 il Regno Unito), di un livello dei prezzi delle forniture di beni e servizi sopra la media (104 rispetto alla media europea di 100) e di un costo dell’energia (0,115 euro per Kw), solo per fare un esempio, quasi doppio rispetto a quello che deve sostenere un’impresa alimentare francese o tedesca di pari dimensioni.

Tutto questo nonostante uno sforzo enorme d’innovazione: con un tasso di circa il 45% d’imprese che innovano, quelle del settore food & drink staccano le “cugine” degli altri comparti del manifatturiero che si fermano intorno al 30-35%. Ma affinché gli investimenti necessari possano essere sostenuti anche in un momento di difficoltà come il presente, sono necessari interventi volti alla crescita, al rilancio dei consumi ed alla competitività, che permettano agli imprenditori italiani di guardare con rinnovato ottimismo alle potenzialità di sviluppo del secondo settore manifatturiero italiano”.

Focus - Le richieste di Federalimentare al Governo sulle priorità da affrontare

1 - Rilancio dei consumi e degli investimenti

Riavviare lo sviluppo e alleggerire il carico fiscale che grava su famiglie e imprese, arrestando al più presto l’erosione del potere di acquisto dei nostri cittadini e della capacità di investimento delle imprese. Le doti di galleggiamento anticiclico dell’industria alimentare sono al limite dopo ben 5 anni di declino. Occorre mettere finalmente il sistema in condizioni di ripartire, risalendo la china, anche riducendo il debito pubblico liberalizzando settori ancora protetti, a partire dall’autotrasporto e dalle professioni;

2 - Pacchetto fiscale

contrastare con energia ogni tassazione impropria, quale ad esempio quella delle food tax, l’incremento delle accise, la tassazione ambientale, quella sugli imballaggi, il cauzionamento obbligatorio, ecc;

accelerare il rimborso dei crediti IVA, intervenire sul plafond di compensazione, e cancellare l’aumento dell’aliquota del 21% previsto a luglio 2013;

favorire la crescita dimensionale delle imprese con opportune defiscalizzazioni delle operazione di fusione ed acquisizione;

3 - Internazionalizzazione

difendere e promuovere i nostri marchi ed il Made in Italy nel mondo, favorendo quegli accordi volti a ridurre le barriere non tariffarie, spesso a carattere sanitario, veri strumenti protezionistici;

favorire lo sviluppo degli investimenti promozionali all’estero per combattere contraffazione e italian sounding attraverso agevolazioni fiscali;

rilanciare definitivamente l’azione dell’Ice mediante un adeguato finanziamento che consenta di aumentare la quota di risorse destinate al settore alimentare

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