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EXPORT, UN MUST DA REALIZZARE IN MODI DIVERSI: DAL “CIBUS GLOBAL FORUM” DI PARMA LE CASE HISTORY DI SUCCESSO DI FERRERO, MUTTI, PARMACOTTO, COLAVITA E SAN BENEDETTO, CINQUE VIE DIFFERENTI DI CONQUISTARE E PRESIDIARE I MERCATI STRANIERI

L’export, per la crescita dell’agroalimentare italiano, è una strada obbligata. Che si può percorrere in tanti modi diversi, con successo, come emerso dal “Cibus Global Forum” di Parma. “Esportare un prodotto made in Italy è riduttivo. Noi abbiamo scelto di pensare i nostri prodotti in Italia, di realizzarli ovunque con la cura italiana, ma coinvolgendo anche le realtà locali dei mercati che siamo andati a colpire, e di produrre, in parte, anche in loco”. A dirlo Gino Luglio, ad Ferrero, brand italiano tra i più famosi nel mondo. C’è anche chi ha puntato sulla sinergia con altre griffe, come Mutti, n. 1 del pomodoro e dei condimenti, in Usa, per esempio, promuovendosi con il marchio della pasta La Molisana e a quello dell’Olio Monini, “con grandi risultati - spiega l’ad Francesco Mutti - anche se non è detto che una formula che funziona in un Paese vada bene in un altro, e senza contare che in Italia è difficile realizzare sinergie simili per tanti motivi, in primis la dimensione delle aziende”. Un’altra via, “che è molto dispendiosa ma che aiuta molto”, è quella dei “flagship store”, negozi bandiera con il marchio aziendale da creare all’estero, come ha fatto, ad esempio Parmacotto. “Il primo passo è quello di creare una propria struttura societaria nei Paesi target, che faciliti le cose da un punto di vista distributivo - spiega il presidente Marco Rosi - anche perché l’export manager come concepito fino ad oggi può essere un apripista, ma non basta più”. Altra via è quella di investire nella formazione, per esempio, degli chef che poi useranno il tuo prodotto e altro del made in Italy, come ha fatto il Gruppo Colavita, uno dei più grandi produttori di olio di oliva, il cui nome campeggia nel cuore di New York, ad Hyde Park, dove al “The Colavita Center for Italian Food and Wine” si formano ogni anno centinaia di cuochi che diventano ambasciatori del made in Italy enogastronomico. Oppure c’è chi, partito da piccoli numeri, ha conquistato il mondo studiando i punti deboli di avversari ben più strutturati, come il gruppo delle bevande San Benedetto, che investendo non sulla concorrenza di prodotto, ma sull’innovazione tecnologica e logistica, è diventato partner di colossi come Coca Cola ...

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