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IL PATRIMONIO DELLA CUCINA ITALIANA NASCE DA CONTINUA CONTAMINAZIONE, NEI SECOLI, DI PRODOTTI E CULTURE DIVERSE. OGGI LE DOP, FONDAMENTALI SUL MERCATO, RISCHIANO DI FRENARE QUESTO PROCESSO CULTURALE. COSÌ, A WINENEWS, IL PROFESSOR MASSIMO MONTANARI

Non Solo Vino
Massimo Montanari, uno dei massimi studiosi al mondo di storia dell’alimentazione

La “cucina italiana”, e la sua cultura, è fatta da una somma e moltiplicazione di saperi locali, prodotti, e tecnologia di preparazione che si sono evolute, contaminate, mescolate tra loro nel corso dei secoli. Oggi le tante Dop, che sono un importantissimo strumento di tutela sui mercati, dal punto di vista economico, dal punto di vista culturale rischiano di cristallizzare o di rallentare questo processo di innovazione e anche di confronto con altre culture gastronomiche che ha fatto la fortuna della cucina italiana. La riflessione-provocazione arriva dal professor Massimo Montanari, uno dei massimi esperti di storia dell’alimentazione, intervistato da WineNews al “Cibus Global Forum” di Parma.
“Lungi dal criticare le Dop come strumento di difesa delle tipicità italiane sui mercati, dal punto di vista culturale i disciplinare di produzione, spesso rigidissimi, rischiano di cristallizzare una materia che è per sua natura fatta di cambiamento, di confronto e di contaminazione anche con altre culture. Basta pensare - spiega Montanari - al modo di lavorare di Pellegrino Artusi, la cui “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” è uno dei testi fondamentali del patrimonio enogastronomico italiano. Spesso per ogni ricetta proponeva più varianti, nelle diverse edizioni del suo testo (15 in 20 anti, dal 1891), anticipando di oltre un secolo il blog e i social network, aprì ai suggerimenti dei suoi lettori”.
“Ma non solo: la cucina italiana è - continua Montanari - un’insieme di saperi orizzontali, perché arrivano da tutti i territori della Penisola, ma anche verticali, perché mette insieme le tante ricette che derivano da quelle riservate all’aristocrazia del ‘500, per esempio, raccolte da Bartolomeo Scappi, autore di uno dei più grandi trattati di cucina del suo tempo, quelle della borghesia dell’800 a cui si rivolgeva Artusi, ma anche quelle dell’arte di arrangiarsi di contadini, o quelle tramandate dai pescatori nei porti e così via. Tutti esempi che testimoniano quanto il patrimonio enogastronomico italiano, fatto di prodotti e di ricette, si fondato storicamente su questo mischiarsi e rinnovarsi di esperienze diverse. Questo chiaramente, non vuol dire che le denominazioni di origine, i cui disciplinari definiscono e codificano come e dove debba essere realizzato un prodotto, siano un male, perché poi tutto si confronta con il mercato. Ma è fondamentale capire che questi due aspetti, ovvero la necessità di tutelare le nostre tipicità di oggi sui mercati, e quello di non arrestare il processo culturale che potrebbe crearne di nuove per il futuro come è sempre stato, devono poter convivere”.

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