“Produrre secondo modalità che peggiorano la situazione climatica, deve costare molto di più. Invece oggi succede esattamente il contrario: il cibo prodotto in base a scelte agronomiche o di allevamento che contribuiscono a riscaldare il pianeta ha costi di produzione bassi, arriverà al dettaglio a prezzi concorrenziali e sarà premiato da consumatori poco informati. Chi invece produce con cura verso la Terra, magari con tempi più lunghi e raccolti meno imponenti, sarà considerato “costoso” e verrà penalizzato dalle scelte dei più”. È il paradosso che ha per conseguenza l’aggravarsi degli effetti del riscaldamento globale evidenziato da Carlo Petrini, presidente e fondatore di Slow Food, nel suo editoriale sul quotidiano “La Repubblica” del 17 febbraio, a commento dell’articolo il “Cibo del futuro” di Maurizio Ricci. Un appello per premiare “il cibo che raffredda il pianeta” e per una presa di coscienza collettiva, ma sopratutto per un intervento serio da parte di Governi e istituzioni.
“Se bastasse ridisegnare la mappa delle coltivazioni tipiche, sostituendo un prodotto adatto ai climi freddi con uno indicato per i climi temperati, e quello dei climi temperati con uno di quelli buoni per i climi aridi, sarebbe anche una cosa sopportabile - sottolinea Petrini - ma i cambiamenti climatici innescano cicli di precipitazioni violente, disturbano il ritmo vegetativo del terreno, intervengono nell’equilibrio tra parassiti e piante target, cambiano la temperatura delle acque marine e quindi le condizioni in cui vivono i suoi abitanti”. E, soprattutto, ricorda il fondatore di Slow Food, “dietro ognuno di questi esempi c’è un’economia più o meno importante che viene danneggiata, uomini e donne che perdendo raccolti perdono clienti, si demotivano, cercano le soluzioni più rapide e spesso queste soluzioni sono alla base della ripartenza del ciclo”.
Per Petrini, “alcune cose le possiamo controllare, noi cittadini di buona volontà, attraverso le nostre scelte quotidiane: le buone pratiche che tutti ormai conosciamo o sulle quali possiamo informarci con facilità, riguardano sia quale cibo scegliere sia quali comportamenti quotidiani tenere (ridurre i consumi di carne; evitare i cibi e le bevande che richiedono molto packaging; evitare ogni minimo spreco; fare con cura la differenziata …). Altre le devono invece attuare, con estrema urgenza - avverte il presidente della chiocciola - i nostri Governi, quelli nazionali e quello europeo: attraverso campagne di formazione e informazione, ma anche attraverso una politica di incentivi e disincentivi”.
Alle parole di Petrini segue un elenco, purtroppo noto, di cibi a rischio estinzione per gli effetti del riscaldamento globale: il pane e la pasta (secondo gli scienziati dell’Onu nelle regioni mediterranee come l’Italia il calo nei raccolti di frumento potrebbe superare 1120%); la frutta (gli inverni troppo miti metteranno a rischio fioritura e raccolto dei frutti con nocciolo, come pesche, prugne, ciliegie, a cui serve il freddo); il cacao (l’aumento delle temperature potrà compromettere l’equilibrio del ciclo degli alberi di cacao in luoghi caldi come Ghana e Costa d’Avorio); e, infine, i vigneti (lo slittamento previsto verso nord dei territori adatti ai vitigni avrà conseguenze negative sulla produzione di vini e Champagne).
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