A Torino c’è un nuovo ristorante top. In tutti i sensi: il 28 giugno apre al pubblico l’attesissimo “Piano 35”, il ristorante gourmet, al 35° piano, l’ultimo, del celeberrimo grattacielo di cristallo e acciaio bianco di Intesa Sanpaolo progettato dall’archistar Renzo Piano, circondato da una bioserra e che, insieme ad un lounge bar (che aprirà prima, il 15 giugno, e ancora più in alto, al 37° piano) e la caffetteria snack Chiccotosto (al piano terra), fa parte del “sistema gastronomico più alto d’Italia” (oltre 160 metri), presentato oggi a Torino. Ai fornelli, la conferma dello chef Ivan Milani, torinese, già al famoso San Quintino Resort di Busca (Cuneo), autodidatta, ma che riconosce in Davide Scabin il suo maestro, e che oggi ha presentato la sua nuova brigata. Un nuovo indirizzo cult con vista mozzafiato sulla città e sulle Alpi, dalla Torre che ne ha ridisegnato lo skyline, e sulle stelle, e forse non solo quelle del cielo, visto che gli ingredienti per puntare al riconoscimento Michelin sembrano esserci più di uno. La cantina? 300 etichette.
Un ristorante che, progettato da Intesa Sanpaolo e messo a punto dall’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo di Slow Food, sarà gestito da Affida, del Gruppo Cir Food, conterà 60 coperti e servirà menu light lunch e degustazione a base di piatti del territorio ma anche delle migliori cucine del mondo, realizzati dallo chef Milani con uno staff di 34 persone e il maître Aldaberto Robbio, mentre il lounge bar vedrà protagonista il bartender Mirko Turconi.
La Torre di Intesa Sanpaolo è la sede del Gruppo bancario a Torino, nel quartiere Cit Turin, il terzo edificio più alto della città dopo il Grattacielo della Regione Piemonte e la Mole Antonelliana. Ma il suo primato sarà ora proprio quello di ospitare il ristorante più alto d’Italia, come illustrato tra le vetrate dello stesso grattacielo dal presidente Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros-Pietro e dal presidente Intesa Sanpaolo Highline Enrico Salza, con il sindaco di Torino Piero Fassino e il professor Michele Fino dell’Università di Pollenzo.
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