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“Brexit”: se vincesse il “Leave” il wine & food tricolore dovrebbe prepararsi a uno scossone non da poco, ma non irreversibile. E Federalimentare, Coldiretti e Alleanza Coop Agroalimentari parlano di conseguenze di lungo periodo “marginali”

Che il mercato britannico sia di primaria importanza per il vino tricolore è cosa nota, dato che solo Stati Uniti e Germania lo superano, e le potenzialità del vino italiano nel Regno Unito sono ben lungi dall’essere esaurite, anche perché uno dei vantaggi competitivi più rilevanti del vino italiano - rispetto, ad esempio, a quello statunitense - sta proprio nel regime fiscale di vantaggio garantito dalla comune appartenenza all’Unione a 28 (http://goo.gl/PYbUHV). Regime che però, se al referendum di dopodomani dovessero prevalere i “Leave”, sarebbe con ogni probabilità cosa morta e sepolta: ma con conseguenze che, secondo Federalimentare, Coldiretti e Alleanza delle cooperative agroalimentari, sarebbero molto meno gravi di quanto non si possa immaginare.
Le associazioni hanno dedicato allo scenario un’analisi dalla quale emerge, innanzitutto, che il mercato UK ad oggi vale per l’export dell’industria alimentare italiana non meno di 2,81 miliardi di euro, con una crescita del +56,4% dal 2007, e il valore di tutto l’agroalimentare esportato si è attestato nel 2015 sui 3,22 miliardi, con i prodotti lattiero-caseari, l’ortofrutta e vino e spumanti a trainare le richieste. In caso di uscita dall’Unione i rischi sarebbero però marginali, perché legati in lunga prospettiva alla leggera perdita di velocità del Pil inglese, e quindi alla minore dinamica della capacità di acquisto locale, mentre nel breve periodo si dovrebbe assistere a una marcata perdita di valore della sterlina sull’euro (che potrebbe avvicinarsi a un rapporto paritario), con una conseguente penalizzazione dei prezzi all’importazione. “Se vince l’uscita dall’Ue”, ha commentato il Presidente di Federalimentare Luigi Scordamaglia, “chi avrà la peggio nell’agroalimentare saranno gli inglesi, non noi”. Quindi anche in caso di uscita, secondo Scordamaglia, la domanda di prodotti alimentari italiani non verrà meno, e “non va dimenticato - ha proseguito - che nel campo delle politiche agricole comunitarie il Regno Unito ha sempre preso molte più risorse di quelle che ha versato”.
“E’ probabile che la Gran Bretagna abbia da perdere molto più dell’Italia”, gli ha fatto eco Coldiretti, sottolineando che la Gran Bretagna riceve il 7% delle risorse destinate alla politica agricola dall’Unione Europea e si posiziona al sesto posto nella classifica dei maggiori beneficiari, nonostante si trovi solamente al tredicesimo posto come numero di aziende agricole (187.000). Sulle eventuali conseguenze di una “Brexit” il presidente dell’Alleanza delle Cooperative agroalimentari, Giorgio Mercuri, ha infine dichiarato che “è da escludere l’apposizione di dazi, mentre bisognerà fare i conti con l’impatto di eventuali modifiche in merito al riconoscimento delle denominazioni di qualità. Un aspetto chiave per la cooperazione, che è leader in queste produzioni”.

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