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Il cibo è “glocal”: secondo l’International Center for Tropical Agriculture più dei due terzi delle derrate alimentari usate e coltivate viene da altre aree geografiche. Più si è lontani dalla biodiversità, e più se ne è dipendenti

Sono dati decisamente degni di nota quelli resi pubblici sulla rivista “Proceedings of the Royal Society B” dal gruppo di lavoro dell’International Center for Tropical Agriculture colombiano capitanato da Colin Khoury. I ricercatori hanno studiato le origini di 151 derrate alimentari differenti suddividendole in 23 regioni geografiche (http://goo.gl/g6JxcP), esaminando poi le statistiche nazionali su dieta e produzione di cibo di 177 paesi, corrispondenti al 98,5% della popolazione mondiale, e determinando quindi la provenienza esatta di ogni alimento. E in media il 69% delle derrate consumate e prodotte in un paese è originario in realtà di un’altra area geografica - una cifra che oltretutto è aumentata del 6% negli ultimi 50 anni, a testimonianza della sempre maggiore “omogeneizzazione” delle diete.
Inoltre, il processo di globalizzazione del Pianeta fa si che il lasso di tempo fra la scoperta di una nuova derrata e la sua adozione sia sempre minore - e questo ha avuto riflessi anche sulle diete, che secondo uno studio del 2013 degli stessi autori stanno diventando sempre più omogenee tra i vari paesi. Le regioni lontane dai centri di biodiversità agricola, come Nord America, Nord Europa o Australia, sono inoltre quelle più dipendenti dalle derrate straniere, e al contrario sud Asia e Africa occidentale coltivano e si nutrono principalmente di cibi “tradizionali”, ma persino paesi come il Bangladesh o il Niger dipendono da alimenti stranieri per un quinto della dieta, ad esempio pomodori, peperoncino e cipolle. La scoperta, ha commentato lo stesso Khoury, ha implicazioni anche per il futuro delle coltivazioni: “l’interdipendenza globale riguarda anche il futuro degli alimenti”, ha detto: “ad esempio, per combattere la minaccia dei cambiamenti climatici e delle nuove malattie. I geni di cui si ha bisogno per combattere queste nuove sfide saranno trovati con più probabilità nelle regioni più ricche di biodiversità, ma saranno necessari in tutti i luoghi dove le derrate vengono coltivate”.
Proprio a questo scopo, ricordano gli esperti, è stato siglato da 120 paesi del mondo sotto l’egida della Fao il trattato “International Treaty on Plant Genetic Resources for Food and Agriculture”, che dovrebbe far mettere in comune le conoscenze proprio sulla genetica della biodiversità. Ma la maggior parte di questi, dicono gli esperti, non stanno dando l’accesso facilitato che hanno promesso, cercando di tenere i vantaggi potenziali per sè. Nell’anno internazionale della Quinoa, il 2013, ad esempio, di 3.000 specie della pianta i ricercatori in tutto il mondo sono riusciti ad ottenere il genoma di sole 21 di queste, e nessuno proveniva dalle banche genetiche dei paesi di origine.

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