Se due anime della filiera agroalimentare italiana come quella dei prodotti tout court e quella dei macchinari per realizzarli giocheranno insieme, con in primi a fare da traino ai secondi, il futuro del settore sarà ancora più luminoso di quanto non sia adesso. Da qui al 2019, per esempio, se si esprimesse il pieno potenziale delle filiere di vino, pasta e formaggio (e annessi macchinari) in solo quattro Paesi obiettivo, (Usa, Cina, India e Messico), si potrebbe generare un export aggiuntivo di oltre 400 milioni di euro. In questi quattro Paesi, vorrebbe dire il 20% in più sul 2015 (2078 milioni di euro), con il maggior potenziale rappresentato dal comparto del vino (215 milioni di euro) e dagli Stati Uniti (330 milioni di euro). A dirlo il report “Di che pasta è fatto l’export Italiano? Quando l’alimentare e le macchine fanno sistema”, realizzato da Sace, gruppo assicurativo di Cassa Depositi e Prestiti.
D’altra parte, spiega Sace (https://goo.gl/2SYJ8r), il tasso di crescita all’export di prodotti e macchinari è molto simile, anche se parti da basi numeriche diverse: nel 2015 le esportazioni di prodotti alimentari hanno toccato i 21 miliardi di euro (oltre la metà dalle sole filiere di vino, pasta e formaggi), mentre quello dei macchinari per la trasformazione dei prodotti alimentari il valore è stato di oltre 3 miliardi di euro. Con una crescita, nel primo, del 6,8% e, nel secondo, del 6,3%.
Ora, è vero che se si analizza il lungo periodo, si nota che il mercato dei prodotti finiti è andato crescendo negli ultimi anni, mentre quello dei macchinari, in generale, è cresciuto meno, se non ha addirittura registrato contrazioni in alcuni settori. Ma, in ogni caso, appare evidente che possa esserci una relazione, se non un vero e proprio effetto traino, tra l’export di prodotti alimentari e le tecnologie che servono a produrli. E d’altra parte, l’Italia è leader nell’export dei macchinari negli stessi settori dove lo è con i prodotti.
Nel caso del vino, per esempio, l’Italia è secondo del mondo a livello di export di prodotto (5,38 miliardi di euro nel 2015, dietro alla sola Francia con 8,3), e leader assoluta per i macchinari per la viticoltura ed enologia, con un export 2015 di ben 74 milioni di euro, nonostante un -38% tra il 2007 ed il 2015, ben davanti ai francesi, a quota 37 milioni di euro (e -38%), ma anche alla Germania con 36 milioni di euro (-37%) e agli Usa con 34, unico Paese che, però, nel periodo in esame, ha visto una crescita del 72%, in un contesto mondiale dove il mercato delle macchine per l’enologia ha visto una contrazione, in valore, del -17%.
Discorso ancora più evidente nel settore della pasta, dove l’Italia è leader di gran lunga sia quando si parla di export di prodotto con 2,37 miliardi di euro, davanti agli Usa con 0,35 miliardi, che di macchinari, con 666 milioni di euro (+19% tra il 2007 ed il 2015), davanti alla Germania, con 231 milioni di euro (-5%).
E nel settore dei formaggi, l’Italia è terza sia nell’export di prodotto (2,26 miliardi di euro), dietro a Germania (3,3 miliardi) e Francia (3 miliardi) che di macchinari (106 milioni di euro) dietro a Usa (141 milioni di euro) e Germania (136).
Insomma, relazioni che dicono che nei Paesi dove si afferma il prodotto finito grazie ai consumatori, i produttori si fidano del know how con cui questo viene prodotto e, di conseguenza, si affermano anche le tecnologie che servono a questo scopo. Ma, ovviamente, in prospettiva, ci sono differenze di cui tener conto nei grandi mercati oggetto dello studio.
La Cina rappresenta un obiettivo naturale, sia per le dimensioni del mercato sia per il progressivo spostamento delle abitudini di consumo verso prodotti di maggiore qualità. La crescita delle esportazioni di macchinari negli ultimi anni è stata affiancata da una crescita più che doppia dei relativi prodotti alimentari. Le maggiori opportunità in termini di export potenziale deriveranno dal settore vinicolo, con oltre 36 milioni di euro di export aggiuntivo in quattro anni (+40% rispetto all’export del 2015). I vini europei di importazione, specialmente quelli francesi e italiani e che rappresentano il segmento premium, continueranno a subire la concorrenza più economica di altri Paesi (come Cile, Australia, Sud Africa e Argentina) e dei prodotti locali, che coprono circa l’80% del mercato, la cui rilevanza offre possibilità sia per i produttori di macchinari per l’industria enologica sia per lo sviluppo da parte dei produttori vinicoli di percorsi di internazionalizzazione più strutturata tramite acquisizioni e joint venture con i partner locali. Il peso dell’Italia nell’import di vino del Paese è ancora limitato (5% rispetto, per esempio, al 44% della Francia) ma è pronto a crescere grazie anche alla spinta derivante dall’accordo con Alibaba, la più grande piattaforma di e-commerce al mondo. L’obiettivo della partnership, iniziata l’anno scorso, è quello di promuovere l’eccellenza dei prodotti alimentari italiani contro le falsificazioni (come il parmesan e il finto Prosecco) e di consentire ai produttori italiani di soddisfare la crescente domanda di cibo Made in Italy degli oltre 430 milioni di clienti della piattaforma. Grazie a questo accordo con
Alibaba, l’Italia è ad oggi il primo Paese al mondo i cui prodotti e le cui certificazioni Dop e Igp sono protetti sul web.
L’India è il più grande produttore e consumatore di latte al mondo, con un’industria casearia in forte espansione e finora caratterizzata da una produzione interna, di cui l’Italia si è avvantaggiata tramite l’esportazione di macchinari. Nonostante il potenziale indiano sia più basso rispetto ad altre destinazioni, le opportunità nel medio-lungo termine restano positive e i produttori italiani potranno beneficiare di oltre 1 milione di euro di export aggiuntivo di macchinari per l’industria casearia nei prossimi anni. Oltre a questo, sarà il settore della pasta con i relativi macchinari quello con maggiori opportunità di export potenziale.
La pasta sarà il settore di punta anche per il Messico, che insieme all’India, potrà contribuire per oltre 10 milioni di euro di export aggiuntivo di pasta e macchinari, il 40% in più rispetto al 2015. I consumi alimentari in entrambi i Paesi beneficeranno della crescita della popolazione e del contestuale incremento della classe media. Infine, il mercato vinicolo messicano, seppure ancora di limitate dimensioni, vive un periodo di crescita significativa, e così le nostre esportazioni verso il Paese. Nel 2015 infatti il Messico ha incrementato le proprie importazioni di vino di oltre il 10%, raggiungendo il proprio record storico. L’Italia è al sesto posto tra i partner
commerciali nel settore, con una quota complessiva dell’8% circa, e con una posizione di primato nella categoria degli spumanti. A un livello di sviluppo ancora inferiore si trova invece il mercato enologico indiano, caratterizzato da dimensioni ridotte e da una rilevanza nettamente inferiore rispetto a birra e liquori (i litri di vino consumati nel 2015 sono stati pari al 3% dei litri di birra) anche se con buone possibilità di sviluppo.
Un discorso a parte vale per gli Stati Uniti, uno dei principali mercati di riferimento per i produttori italiani in tutti i comparti alimentari. I prodotti con un export aggiuntivo maggiore sono i formaggi e il vino (116 e 171 milioni di euro rispettivamente). Le caratteristiche del mercato caseario americano lo rendono attrattivo, ma allo stesso tempo costituiscono dei freni allo sviluppo della presenza italiana. Per quanto riguarda il prodotto alimentare, alcuni limiti derivano dalle rigide normative che regolano il settore e dalla concorrenza del “fake Italian” che, per i formaggi più che altro, penalizza i nostri prodotti tramite un’offerta qualitativamente inferiore e a prezzi più competitivi, e tramite la promozione di una “diseducazione del consumatore” a riconoscere il prodotto originale (come ad esempio è con il famigerato parmesan cheese). Se sul piano alimentare rimangono alcune barriere per i produttori, che tuttavia non impediscono al nostro export di raggiungere risultati ragguardevoli nel breve e nel medio-lungo termine, per i costruttori di macchine queste possono rivelarsi vantaggiose. Ad esempio, il mercato caseario americano è soddisfatto in larga parte dai produttori locali, con ulteriori opportunità per lo sviluppo dell’export dei costruttori italiani di macchinari e tecnologie per il settore.
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