Dopo gli anni in cui a dominare le cronache economiche e politiche la parola protagonista è stata “spread”, ora, tra Brexit e Trump, “dazi” e “protezionismo” sembrano i nuovi tormentoni. In particolar modo, in queste ore, sul fronte degli Stati Uniti, dove il presidente Trump starebbe per firmare due decreti che, però, al di là della retorica allarmistica della prima ora, sembrano già essere meno brutti di quanto paventato. Innanzitutto, ammesso che diventino operativi, c’è chi ricorda che secondo le regole del Wto, gli Usa potrebbero introdurre dazi “punitivi” solo su importazione per un valore di 100 milioni di dollari, e quindi, per esempio il vino italiano, che “fattura” 1,6 milioni di euro in Usa, sarebbe già escluso. Inoltre, tali dazi, da quanto si apprende da fonti di stampa, come la Cnn, sarebbero formalmente introdotti per correggere il deficit della bilancia commerciale Usa, che si aggira sui 50 miliardi di euro complessivi. Si vedrà, ma intanto anche negli stessi States che Trump l’hanno votato, all’insegna dell’“America Firts”, molte imprese a stelle strisce hanno già chiesto al presidente una retromarcia, perchè chiaramente l’introduzione di nuovi dazi danneggerebbe non solo i Paesi e le imprese che in America esportano, ma anche chi internamente trae profitto dal loro commercio.
In ogni caso la tensione è alta, anche perchè il quadro non è chiaro ed in continua evoluzione, e la preoccupazione è comprensibile sia sul fronte europeo, che su quello italiano, dato che il mercato Usa, solo per l’agroalimentare del Belpaese, vale oltre 4,3 miliardi di euro.
Dall’Ue, a parlare, tra gli altri, è il presidente del Parlamento Ue, Antonio Tajani: “mi auguro che non ci sia un’escalation e che si possa arrivare ad un accordo. Sull’importazione delle carni dagli
Usa noi abbiamo delle regole ferree per la tutela della salute dei cittadini, e quindi non si tratta di una questione commerciale ma in ogni caso non è interesse di nessuno avere una guerra commerciale soprattutto con gli Usa”.
Ma c’è anche chi ne approfitta per rilanciare il tema del Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip): “la soluzione alle preoccupazioni degli Usa sulle esportazioni di carni verso l’Ue faceva parte dei negoziati del Ttip, ora congelati per volontà americana e non dell’Unione Europea. Quindi, se Donald Trump vuole trovare una soluzione, dovrebbe riaprire il negoziato e discutere con la Ue, visto che una guerra commerciale non avrebbe senso e danneggerebbe tutti, poiché tra le due sponde dell’Atlantico passa un terzo del commercio mondiale”.
A dirlo Paolo De Castro, vicepresidente della Commissione Agricoltura e membro della delegazione per le relazioni Ue-Usa del Parlamento Europeo, che conosce bene la vicenda riportata alla ribalta dal “Wall Street Journal”, che ventila la possibilità, ora decisamente concreta, che Washington possa imporre alti dazi su una serie di prodotti “iconici” europei, come la Vespa italiana e il formaggio Roquefort francese, l’acqua minerale (Perrier, San Pellegrino), ma anche cioccolato, mostarda, paprika, motorini e così via.
De Castro che sottolinea anche come “il contenzioso sulla carne agli ormoni su cui gli americani si sentono ingiustamente colpiti in realtà era già stato vinto alla Wto da parte dell’Ue. Per cui noi oggi possiamo legalmente dire no alla carne agli ormoni, dopo avere vinto un arbitrato in sede Wto. Poi, le preoccupazioni di Washington sono legittime e ce ne eravamo occupati, perché gli Usa non sono riusciti a godere di quel contingente che l’Europa aveva dato loro, di carne di alta qualità”.
Ma, come detto, a scongiurare una guerra dei dazi, sono le stesse imprese dei Paesi industriali più avanzati della terra: nella joint declaration controfirmata dagli imprenditori di Francia, Germania, Italia, Giappone, Gran Bretagna, Usa e Canada, oggi riuniti nel business summit organizzato da Confindustria e consegnata in queste ore al Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, in vista del G7 di Taormina di maggio, si parla di “lotta al protezionismo, una minaccia senza precedenti, ma anche di norme fiscali coerenti per facilitare il commercio mondiale, un impegno per una rapida attuazione di accordi commerciali bilaterali, da quello tra Ue e Giappone al Ceta, un coordinamento delle politiche su Industria 4.0 e una considerazione attenta sulla Cybersecurity. La governance del commercio fa fatica a stare al passo con la globalizzazione ed è minacciata da tendenze protezioniste senza precedenti - si legge nella joint declaration, dove le imprese chiedono che - i Leader del G7 riconoscano l’importanza cruciale del commercio internazionale e lavorino per migliorare e rendere le condizioni favorevoli alla crescita economica. Il G7, dunque, dovrebbe esortare tutti i Leader ad opporsi al protezionismo al fine di promuovere ulteriormente le iniziative esistenti a favore di un commercio libero ed equo su scala mondiale, fare avanzare gli accordi chiave di libero scambio e esplorare l’opportunità di negoziati multilaterali su nuove questioni, per garantire normative fiscali coerenti su scala mondiale al fine di facilitare il commercio mondiale”.
Intanto, a stimare un impatto sull’agroalimentare italiano dalla possibile adozione della “black list” american, è Coldiretti: “tra i 90 prodotti che rischiano di essere colpiti dai super dazi statunitensi ci sono anche i tartufi freschi o refrigerati, i pomodori conservati in polpa o pelati come i San Marzano, le castagne e le barrette di cioccolata, oltre che le acque minerali come la San Pellegrino per un conto totale solo nell’agroalimentare di oltre 250 milioni di prodotti esportati”, sostiene l’organizzazione agricola, analizzando “la lista non definitiva pubblicata dall’United States Trde Representative sul Registro federale relativo alla controversia generata dalla questione della mancata importazione di carne dagli Usa in Europa per la disputa sugli ormoni iniziata con il ricorso al Wto nel 1996. I prodotti del Made in Italy a tavola maggiormente danneggiati rischiano di essere le acque minerali che complessivamente hanno fatto segnare un valore dell’export in Usa di 147 milioni di euro seguite dalle polpe e dai pomodori pelati per 78,9 milioni di euro, i tartufi freschi o refrigerati per 9,7 milioni di euro, le castagne per 5 milioni e le barrette di cioccolata per appena un milione di euro. Si tratta in realtà di prodotti che in parte - precisa la Coldiretti - erano già stati colpiti dai dazi supplementari Usa, dal 1999 al 2011, con pesanti ripercussioni sulle esportazioni nazionali anche perché sono state parallelamente favorite le produzioni locali “taroccate” come il San Marzano coltivato in California in spregio alle generazioni di coltivatori campani che ne hanno fatto uno dei fiori all’occhiello dell’agricoltura made in Italy”.
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