La notizia dell’apertura di Eataly a Mosca, dopo rinvii e rallentamenti dettati anche dai difficili rapporti commerciali tra Russia ed Unione Europea, che da tre anni hanno deciso di sfidarsi a colpi di embarghi e contro embarghi, è stata accolta con un misto di soddisfazione e speranza. L’augurio è quello che si possa trattare di un primo passo verso un disgelo che gioverebbe, e non poco, a tutto l’export agroalimentare del Belpaese, ormai limitato al vino ed ai prodotti secchi, salvo rare eccezioni. Tutti i formaggi italiani, ad esempio, sono sotto embargo, così come la stragrande maggioranza dei salumi (si salvano prosciutto cotto, coppa, speck e bresaola), per non parlare delle carni, che non si potevano commercializzare neanche prima dell’embargo.
Certo, messa così sorge spontanea una domanda: cosa troveranno, di italiano, i gourmet e gli amanti della cucina tricolore, nei 7.500 metri quadrati del quarto piano del centro commerciale Kievsky? “Tutto ciò che è possibile commercializzare. Innanzitutto - spiega a WineNews Francesco Farinetti, responsabile Eataly nel mondo - i prodotti secchi, su cui non c’è alcuna limitazione, poi il vino, quindi quei salumi che è ancora permesso importare, come il prosciutto cotto, la coppa, lo speck e la bresaola. Per tutto il resto, ci rivolgiamo ai produttori locali, esattamente come abbiamo fatto in tutti gli altri Eataly nel mondo, dal Brasile alla Turchia passando per gli Stati Uniti”. A Mosca, come a New York ed in altre città, verranno prodotte mozzarelle, stracciatelle e burrate, “ovviamente da latte russo che abbiamo accuratamente selezionato - continua Francesco Farinetti - ma faremo anche un passo in più, una cella di stagionatura, a vista, dove faremo stagionare caciocavalli e scamorze”.
Know how italiano al servizio dei produttori d’eccellenza russi, “perché non possiamo fare altrimenti, gli unici formaggi che possiamo importare, e lo facciamo, sono quelli svizzeri. I Consorzi italiani, che con noi lavorano tanto e bene, lo sanno perfettamente, siamo i primi a sperare in una soluzione veloce e positiva di una situazione che sta danneggiando tutti. Nel frattempo - continua il responsabile Eataly nel mondo - stiamo pensando anche a come produrre altri formaggi, tipo il Gorgonzola, senza ovviamente chiamarlo così”. Il terreno, del resto, è scivoloso, e di questi tempi è facile parlare di italian sounding anche dove non c’è. “Noi facciamo tutto rispettando regole e normative - riprende Francesco Farinetti - ma ci sono prodotti che, al di là dell’embargo, non si possono importare né in Russia né in altri Paesi. Come il prosciutto: a Mosca ne proporremo uno prodotto nel territorio, chiamandolo semplicemente “prosciutto crudo”, e senza ovviamente abusare dei nomi delle grandi denominazioni, le uniche capaci di tutelarsi nel mondo, penso al San Daniele ed al Parma”.
Insomma, “Italy” fin dove è possibile, per il resto ci si rivolge alle produzioni locali, ovviamente di alto livello, per ricalcare in qualche modo lo stile italiano. Di più, probabilmente, non si può chiedere, dando per scontato che carni, pesce e frutta e verdura arrivano sempre da produttori locali, perché va bene l’italianità, ma un altro concetto base di Eataly è proprio quello della valorizzazione delle produzioni di prossimità. “Il pesce in Russia è buonissimo - dice ancora Francesco Farinetti - e così tanti altri prodotti”. Lo stesso vale per la carne in Usa: la “Piemontese”, ad esempio, arriva da un’azienda del New Jersey, Pat LaFrieda, di origini italiane. A San Paolo, con l’eccezione di alcune grandi denominazioni (Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Parma e San Daniele), la situazione è praticamente identica a quella di Mosca, mentre ad Istanbul, paradossalmente, la selezione di prosciutti e salami, rigorosamente made in Italy, è quasi impressionante per un Paese non solo tradizionalmente, ma anche politicamente, legato alle proprie radici arabe.
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