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È iniziato l’autunno ed è tempo di funghi, ma anche tempo di truffe. Mancando una tracciabilità, Slow Food avverte come il 95% dei porcini “italiani” analizzati risulti essere straniero, creando un margine di guadagno tutto a danno del consumatore

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È iniziato l’autunno ed è tempo di funghi, ma anche tempo di truffe ...

È iniziato l’autunno ed è tempo di funghi. Ma anche tempo di truffe, soprattutto per il porcino italiano, che si stima risulti avere provenienza estera nel 95% dei campioni analizzati. Finferli, ovuli, chiodini e porcini: i funghi purtroppo non hanno tracciabilità e la loro origine può quindi essere data per certa solo se si sa chi li ha raccolti (noi stessi o una persona fidata), avverte Slowfood in un articolo dedicato a queste prelibatezze dei sottoboschi nazionali.
L’imbroglio è presto spiegato: i funghi locali e italiani sono difficili da trovare al mercato perché sono sempre meno coloro che li cercano e ancora pochi quelli che creano le condizioni nel bosco perché crescano in quantità (ad esempio, annaffiandone ampie porzioni). In Romania, Polonia, Moldavia e Ucraina invece sono molto diffusi: ne crescono in quantità, sono buoni, ma costano meno. E siccome è facile mentire sulla loro origine è facile mescolarli con prodotti nostrani o spacciarli in blocco per tali.
Il prezzo di un porcino italiano si colloca, infatti, in una fascia che va dai 25 ai 35 euro al chilo, mentre quelli stranieri possono essere venduti anche a 15 euro al chilo: in assenza di tracciabilità, risulta quindi relativamente facile spacciare un porcino straniero per italiano, realizzando un bel margine a danno del consumatore.

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