Si fa un gran parlare, e a ragion veduta, dei millennial, ovvero il segmento demografico che finirà col sostituire i gloriosi baby boomers nel rappresentare la spina dorsale dei consumi di vino a livello globale. Ma non tutti i millennial sono uguali, al netto del loro essere compresi tra i 18 e i 35 anni di età: la loro nazionalità ha giocoforza un peso rilevante nel loro approccio al nettare di Bacco, sia culturalmente che economicamente, ed è per questo che è necessario tenere ben presente le loro peculiarità all’interno dei confini nazionali, come sottolineato da Marilena Colussi, esperta di consumi e ricercatrice nel campo delle tendenze alimentari e del wine & food.
Innanzitutto, una definizione di partenza: “Stiamo parlando di dodici milioni di persone tra i 18 e i 35 anni, quindi una consistenza numerica importante”, esordisce Colussi a colloquio con WineNews: “sono la classe dirigente già di oggi, ma di sicuro dei prossimi anni, quindi saranno loro a condizionare i consumi per i prossimi decenni”. Facile previsione, d’accordo, ma c’è da considerare il fatto che la generazione di cui stiamo parlando è anche quella per la quale il posto di lavoro, quando c’è, è raramente sicuro e ancora più raramente retribuito in maniera adeguata: “in questo momento hanno delle difficoltà a consumare tutto quello che vorrebbero, sia a livello quantitativo che qualitativo, perché solo il 40% ha un lavoro che gli consente un’entrata certa e sicura, per così dire. Molti sono ancora nella condizione di studiare, o di studiare e lavorare ma con lavori precari, e moltissimi coabitano con la famiglia di origine, così come ce ne sono tanti che in questi ultimi anni hanno dovuto lasciare l’Italia per andare ad approfondire studi o iniziare esperienze lavorative all’estero”. Comunque sia, “un numero importante, che va curato nel tempo perché si spera che poi dopo tutti riescano a trovare soddisfazioni, quindi anche nel loro rapporto col vino è importante offrire prodotti che siano in linea con le loro esigenze e le loro possibilità”.
E’ quindi imperativo, per i produttori italiani, saper adeguare il loro ventaglio d’offerta alle possibilità economiche dei millennial, ma altrettanto va fatto dal punto di vista comunicativo, visto che la loro è una generazione molto affascinata “da tutti gli aspetti sociali e culturali del vino, quindi tutto quello che ruota intorno al sistema del vino come prodotto. Vanno coinvolti, vanno interessati su tutti gli argomenti, che sono moltissimi, che hanno a che fare col mondo del vino. E’ molto importante per loro l’emozione, il concetto, l’idea più che il consumo in quanto tale”. Una preminenza, in sintesi, della dimensione culturale ed esperienziale su quella puramente gustativa, che comunque va tenuta presente. “Bisogna venirgli incontro”, ha proseguito Colussi: “è chiaro che la destinazione del vino è durante i pasti e in abbinamento ai cibi, fa quindi specie non trovare un’offerta di vino in forme di ristorazione veloce, o più praticate dai giovani, o comunque non c’è un’offerta adeguata di vino in molte situazioni di consumo alimentare. Va un po’ ripensato tutto il contatto con il mondo dei giovani attraverso le varietà del retail che praticano i giovani, e c’è da esplorare cogliendo il loro interesse per le dimensioni naturali, ecologiche, biologiche, del vino - e sappiamo bene che è un trend in continua crescita, ma bisogna renderlo loro accessibile nei luoghi che frequentano”. Anche sfruttando il considerevole vantaggio che in Italia, a differenza che ad esempio negli Stati Uniti, i millennial “quando fanno una scelta di vino cercano di farla più sulla qualità, la provenienza, le caratteristiche: il ruolo del brand in quanto brand e basta è un po’ meno importante rispetto a queste dimensioni. In Italia abbiamo la fortuna di avere millennial sensibili a tante dimensioni del prodotto vino, inclusa la cultura del bere, perché mediamente in Italia c’è una tendenza al bere meno e bere meglio, al consumo responsabile”. Si arriva quindi alla comunicazione, e alla comunicazione trasparente, come fulcro del coinvolgimento: “bisogna avere delle etichette sempre più trasparenti, così come le comunicazioni, perché più si racconta e si spiega e più il consumatore può fare una scelta consapevole. Una scelta che poi va a incidere sul lungo periodo, e costruisce una relazione importante con il brand. La trasparenza”, ha concluso Colussi, “ dà la possibilità di far comprendere tutti i valori che ci sono dietro a un prodotto vino, a partire dalla terra, dal territorio e dalla sua cultura, e via via tutti i passaggi dalla coltivazione della vite, la trasformazione dell’uva in vino, e tutto quello che c’è dopo. Sicuramente l’evoluzione del branding nel vino dovrà sensibilizzarsi sui temi che interessano a loro, per cui anche gli argomenti della sostenibilità, del chi lo fa, del come lo fa, delle condizioni dei lavoratori e così via, possono interessare il millennial e costruire una relazione più forte”.
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