Va reso più redditizio coltivare il grano in Italia, e va migliorata la qualità del grano duro nazionale, incrementando centri di stoccaggio idonei alla differenziazione delle diverse semole, così come richiesto dalla pastificazione e dal mercato. È l’obiettivo del protocollo d’intesa salva granai, sottoscritto dai 100 pastifici aderenti all’Associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta italiane - Aidepi e dall’Associazione Industriali Mugnai d’Italia - Italmopa che conta 85 molini associati, oltre che dalla maggior parte delle organizzazioni agricole per un totale di 1,1 milioni di aziende agricole.
Un patto volontario che vede l’agroindustria compatta segnare una tregua nella cosiddetta guerra del grano per aumentare la disponibilità di grano duro italiano di qualità e preservare la competitività sui mercati internazionali. L’Italia è il primo produttori in Europa di frumento duro e leader mondiali nella produzione di pasta ma per restare competitivi ai pastifici italiani servono grandi quantitativi di grani di alta qualità che non sono disponibili nella quantità necessaria in Italia. “I grani stranieri costano il 30% in più - ha precisato Cosimo De Sortis, presidente di Italmopa - fa perciò bene a tutti puntare sulla sostituzione totale con semole nostrane”.
“La pasta made in Italy vale all’estero se di qualità - ha detto il presidente di Aidepi Paolo Barilla - e per noi il mercato appetibile è nell’alto di gamma. Questo progetto si muove su logiche di lungo termine, per rendere più virtuosa, innovativa e competitiva la filiera italiana grano-pasta, e per mettere fine alla guerra del grano interna che non fa bene”. Per Giorgio Mercuri, presidente dell’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari: “solo i grani di qualità permettono ai nostri agricoltori di rimanere sul mercato. Nel vino chi ha puntato sulla qualità non ha estirpato i vigneti: nella cerealicoltura va fatto lo stesso”. “Anche perché il settore è strategico - ha sottolineato Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura - e coinvolge il 10% della superficie agricola italiana, e il Sud o fa grano o fa grano, spesso non ha alternative”.
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