Il 2017 è stato un anno impegnativo e denso di novità per il mondo del vino, ma allargando l’orizzonte alle dinamiche della ristorazione e dell’agricoltura, cosa ci lasciano gli ultimi 12 mesi? Innanzitutto, in un viaggio a ritroso con WineNews negli ultimi 365 giorni, una “stella” in meno in cucina, la più lucente dell’alta ristorazione moderna, quella di Gualtiero Marchesi, che se ne è andato proprio alla fine del 2017. Allo stesso tempo, la guida più autorevole del settore, la Michelin, ha certificato l’ottimo stato di salute dell’alta gastronomia italiana, che adesso vanta 9 chef nell’Olimpo dei “tristellati”, con Norbert Niederkofler del St. Hubertus Rosa Alpina, che va a fare compagnia a La Pergola di Heinz Beck, il Piazza Duomo di Enrico Crippa, l’Enoteca Pinchiorri di Annie Feolde, Dal Pescatore della famiglia Santini, Le Calandre dei fratelli Alajmo, il Reale di Niko Romito (al top secondo la guida ai Ristoranti d’Italia del Gambero Rosso), il Da Vittorio di Enrico Cerea e l’Osteria Francescana di Massimo Bottura, che, però, scende dal primo al secondo posto della “50 Best Restaurants”.
A proposito di Michelin, per la “Rossa” è stato un anno travagliato: svolte commerciali come l’acquisto del 40% di “The Wine Advocate” e la possibilità di prenotare online i ristoranti hanno fatto storcere il naso a molti, e nel frattempo non si è fermata l’emorragia di stellati “ribelli” che, esasperati dalla corsa alla perfezione, hanno deciso di restituire le stelle. Il caso più eclatante, senza dubbio, la rinuncia ai tre “macarons” di Michel Bras, nonostante il mondo dei ristoranti stellati, nel suo complesso, in Italia fatturi qualcosa come 650 milioni di euro.
Chef che, al di là delle stelle, si confermano star del piccolo schermo, con un palinsesto che, da MasterChef a La Prova del Cuoco, tra servizio pubblico e pay tv, porta la cucina nelle case degli italiani con una programmazione sempre più ricca, e volti celebri, da Antonino Cannavacciuolo a Carlo Cracco (solo a Hell’s Kitchen, e con una stella in meno), diventati veri e propri fenomeni di marketing, ed altri che, lontani dai riflettori, guadagnano posizioni nella considerazione dei colleghi di tutto il mondo, come Enrico Crippa, alla posizione n. 7 de “Les 100 Chefs”. Sotto la punta della piramide ristorativa del Belpaese, intanto, le cose sembrano migliorare per tutti, con i consumi fuori casa in ripresa, sulla scia della piccola, ma solida, crescita economica registrata dall’Italia, tanto che il settore cibo, nel suo complesso, tra ristoranti e bar, genera fatturati per 51 miliardi di euro pari ad un settimo dell’intero fatturato del settore in Europa.
In tema di dati, fanno sorridere quelli dell’export agroalimentare, che ha superato per la prima volta i 40 miliardi di export, in crescita del 6% sul 2016, con i due terzi delle spedizioni nei Paesi Ue, ed una bilancia commerciale che, nel 2017, segna un saldo di -4,5 miliardi di euro. Merito anche di una rinnovata solidità del mondo cooperativo, che con un fatturato generato di 35 miliardi di euro rappresenta il 23% del settore. Allo stesso tempo, i campi italiani si riscoprono sempre più green, con gli ettari coltivati a biologico a quota 1,79 milioni, e cresce anche il contributo degli immigrati, con 345.000 stranieri provenienti da ben 157 Paesi diversi impiegati in agricoltura: una risorsa minacciata dalla piaga del caporalato, finito nel mirino del Governo con una legge ad hoc che, alla fine del 2017, ha compiuto un anno.
Le sfide maggiori per l’Italia dell’agricoltura e dell’agroalimentare, però, arrivano dall’Europa. Innanzitutto, la Pac 2020, dopo l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue, subirà inevitabilmente dei tagli importanti, quindi ci sono sul tavolo i tanti accordi commerciali, stretti o sfumati, con i diversi partner commerciali in giro per il mondo: se i negoziati per il Ttip, il trattato di libero scambio tra Ue e Usa, sono praticamente falliti, con Cina, Messico e Giappone le cose sono andate diversamente, con il riconoscimento delle Indicazioni Geografiche sempre tra i nodi più difficili da sciogliere. L’Italia, in questo senso, forte del suo primato in termini di Ig e Do, avrebbe possibilità di crescita enormi dall’apertura di nuovi mercati, che si scontra però con una dinamica, non solo italiana, tutta figlia del 2017: il protezionismo. Dal grano al riso, passando per il latte, la provenienza delle materie prime, dal 2018 (ma con leggi nate nel 2017, ovviamente), finisce in etichetta, per tutelare le produzioni made in Italy, certo, anche se in tanti campi il Belpaese è ben lontano dall’autosufficienza.
Del resto, le difficoltà patite dalla viticoltura, dovute principalmente al caldo torrido dell’estate, sono le stesse sofferte dall’olivicoltura (con la produzione di olio d’oliva che ha subito un drastico calo produttivo sul 2016), dal miele (che sconta la drammatica ed endemica moria delle api) e dal tartufo (che a fronte di quantità assai risicate ha raggiunto quotazioni monstre, come i 4.500 euro al chilo di Alba ed i 6.000 euro al chilo di San Giovanni d’Asso).
E le buone notizie? Ce ne sono, eccome se ce ne sono. L’Italia, a maggio ha ospitato il Seeds&Chips - The Global Food Innovation Summit, summit internazionale sulla food innovation, di scena a Milano, con un ospite d’eccezione come Barack Obama a parlare delle sfide del cibo, affrontate ad ottobre, a Bergamo, nel G7 dell’Agricoltura dai Ministri delle maggiori economie mondiali che, con una sola voce, hanno dichiarato guerra alla fame nel mondo, puntando a portare fuori dalla denutrizione 500 milioni di persone entro il 2030. Un obiettivo ambizioso, che certo avrà fatto piacere a Papa Francesco, sempre impegnato sul fronte della lotta alla povertà ed alla fame, ma anche a Carlin Petrini, che nel 2017 ha festeggiato i 30 anni di Slow Food, con il Congresso dell’associazione che, per la prima volta, è andato in scena in Cina, aprendo una nuova frontiera, ad Est, del buono, pulito e giusto. Essenzialmente, sostenibile, parola d’ordine che non vale solo per il vino, e che l’Italia ha declinato, tutto sommato, bene: secondo il Food Sustainability Index, l’indice di Barilla che analizza la sostenibilità del sistema alimentare, il Belpaese è al settimo posto tra i primi 25 Paesi del mondo.
Un’altra ottima notizia, proprio in coda al 2017, è arrivata dall’Unesco, con il riconoscimento della pizza napoletana a Patrimonio Immateriale dell’Umanità. A novembre, invece, ha visto la luce a Bologna Fico Eataly World, il parco agroalimentare più grande al mondo, tra campi, stalle, fabbriche del cibo e punti ristoro che, chissà, presto potrebbero offrire ai visitatori anche piatti a base di insetti, visto che il 2017 è stato anche il loro anno, con l’apertura alla commercializzazione, dal 2018, di cibo a base di insetti, al supermercato e, chissà, al ristorante.
Certo, non è necessariamente una buona notizia, ma è comunque una novità, in fin dei conti innocua, e che di certo desta curiosità. Il 2017, infine, è stato l’anno della consacrazione delle innovazioni arrivate negli ultimi anni, dall’e-commerce, che ha raggiunto nel settore agroalimentare il miliardo di euro di acquisti, al food delivery, su cui ha deciso di puntare anche il gigante Amazon.
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