Il competitor principale per il vino italiano sul mercato Usa? Gli Usa. La produzione interna, infatti, rappresenta ancora il 75% del totale, con i consumi pro capite ancora fermi a 10 litri pro capite. Sembra un paradosso, ma anche il primo mercato al mondo, sia per consumi che per importazioni, ha qualche limite. E lo sa bene l’Italia, che, come ricorda dal convegno “Tendenze del mercato Usa ed evoluzione del sistema distributivo del vino italiano”, di scena al wine2wine, il business forum sul vini by Veronafiere e Vinitaly di scena a Verona, Gioia Morena Gatti, dell’ICE di New York, pur continuando a crescere, è dietro alla Francia: come rivelano i dati delle dogane forniti dallo US Dept. of Commerce, le esportazioni sono cresciute nel complesso del +9,2% in valore e del +1,8% in quantità; in aumento anche la quota di mercato, che sale al 32% rispetto al 31,4% del 2017 (con appena quattro Regioni, Toscana, Piemonte, Veneto e Trentino Alto Adige, che rappresentano l’82% del mercato), ed i prezzi medi, che raggiungono i 5,8 dollari al litro contro i 5,4 dollari al litro dello scorso anno, ma con il boom del rosato, di cui la Francia detiene l’80,4% delle quote di mercato, i cugini d’Oltralpe sono davanti. E se si guarda ai prezzi medi, in effetti, oltre alla Francia anche la Nuova Zelanda fa decisamente meglio di noi.
Niente panico però, arrivare ad un punto di stai, a voler vedere bene, è fisiologico, e l’aspetto positivo di tutto questo, ricorda Nunzio Castaldo, importatore in Usa con la sua Panebianco, ma per una vita braccio destro a Winebow di Leonardo Locascio, “è che di tutto il vino importato in Usa una bottiglia su tre è italiana, ma per continuare a crescere, da un punto di vista qualitativo, è bene concoscere il mercato e le tendenze che lo muovono e caratterizzano. Innanzitutto, al di là di come la su può pensare politicamente - scherza Castaldo - gli Usa sono un Paese in salute, l’inflazione è al 2%, la disoccupazione al 3,5%, record storico negativo, l’economia cresce, e se il futuro è dei Millennials, che cambieranno il mondo dei consumi e della fruizione dei servizi, nel presente c’è ancora bisogno dei Baby Boomers e della Generazione X. Sono loro ad acquistare i vini importanti, che portano su il valore delle esportazioni. Ed ora hanno voglia di uscire dagli anni Novanta, comprare cose diverse, principalmente Bolgheri, Etna ed Alto Piemonte. Bevono bottiglie, non bicchieri, specie al ristorante, al contrario della Young Generation, che preferisce invece il consumo al bicchiere, in un wine bar o al ristorante, in un modo di consumare a cui dovremo abituarci, come produttori e come importatori”.
Cambia anche la tipologia di vino richiesto dal mercato, che, “stanco di vini ad alta gradazione alcolica, si muove anche sugli entry level su qualcosa di diverso, fresco ma non meno complesso, come Chianti Docg e Barbera, alzando l’asticella”, riprende Castaldo. “Non c’è più bisogno dell’occasione giusta per bere vino, ormai fa parte della quotidianità: nei talk show del mattino c’è già chi in tv ha il bicchiere di vino sulla scrivania, anche nelle serie televisive fa spesso la sua comparsa, sempre più parte della quotidianità. Scegliere cosa bere porta sempre più spesso al vino come risposta”. La parola d’ordine, però, “è ancora emozione, e spesso scaturisce dalla condivisione, anche perché difficilmente in Usa si beve da soli. E ad emozionare, ultimamente, sono soprattutto Puglia e Sicilia, di cui i wine lovers portano con sé il ricordo di un Nero di Troia, un Grillo o un Catarratto, che poi cercano sul mercato”. E che l’Italia sia un brand vincente “lo dimostra la top 100 di Wine Spectator - aggiunge l’importatore - al cui vertice c’è un vino italiano il Sassicaia 2015, e quasi il 20% della classifica è fatta da vini italiani. Anche nella ristorazione, Bottura al top conferma la tendenza. Il made in Italy, in generale, è ancora molto forte, e poggia su moda, vino, turismo. Elementi che importatori e distributori mettono insieme per fare promozione”.
C’è poi una sempre maggiore propensione alla qualità, “che si alza anche in Gdo: catene importanti hanno sempre più voglia di investire in spazi dedicati a vini importanti, superiori alla fascia dei 20, 25, 30 e spesso anche 40 dollari. Aiuta il vino anche un mercato che premia le basse gradazioni, mentre per ora non preoccupa troppo la liberalizzazione della Marijuana”. Per quanto riguarda il futuro della distribuzione, vero focus del dibattito, “bisognerà fare i conti con la crescita delle popolazione mondiale e di consumi medi, per cui ci sarà bisogno di più vino”,conclude Castaldo. Che ricorda anche come “un’evoluzione del sistema del three tier, che esiste da 85 anni, potrebbe essere legata alle richieste dei grandi player dell’e-commerce: se Amazon, ad esempio, decidesse di puntare forte sul vino, considerate anche le ottime performance delle vendite dirette, potrebbe realmente scardinare le attuali regole”.
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