Tra i mille sotto testi della globalizzazione, cambia anche la geografia del vino, non solo in termini di rotte commerciali e mercati, come racconta la crescita costante delle esportazioni enoiche dalla Vecchia Europa, e non solo, verso i Paesi dell’Estremo Oriente, ma anche da un punto di vista squisitamente produttivo. Così, la Gran Bretagna, che per secoli ha deciso le sorti commerciali del vino europeo, oggi si riscopre Paese produttore, con 3.400 ettari vitati e una griffe dello Champagne come Taittinger pronta a crescere ancora Oltremanica, dove il mese scorso ha impiantato altri 8,5 ettari di vite nella sua proprietà del Kent, Domaine Evremond, che arriva così a vantare 28,5 ettari, per il 60% Pinot Nero e per il 40% Chardonnay. Dall’altra parte del mondo, invece, in quella che è diventata la Mecca del commercio enoico, in Cina, la tenuta più antica del Paese, Château Changyu Moser XV, nella regione di Ningxia, è pronta a convertire la conduzione dei suoi 250 ettari vitati alla biodinamica. Una svolta dettata, come ha raccontato il winemaker dell’azienda, Lenza Moser al magazine Uk “The Drinks Business”, da motivazioni “principalmente etiche, ma anche commerciali, perché negli ultimi dieci anni è diventato un plus importante nell’industria enoica, e nei nostri vigneti in Ningxia, a differenza di territori generalmente umidi come lo Champagne, è piuttosto semplice sposare la viticoltura biodinamica, ci aiutano il clima secco del deserto, le alture e le escursioni termiche”.
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