Per “andare” in cucina, basta accendere la Tv, dove ormai si spentola sempre ed ovunque. Ma quanto tempo passiamo nella nostra? In questi giorni che siamo a casa, la stiamo riscoprendo anche come luogo di famiglia, stanza dei ricordi, quella parte della casa che racconta e sa tutto di noi e della nostra vita. Un microcosmo di sensazioni, profumi e sapori. Per accompagnare questo viaggio nel tempo tra pentole e fornelli, c’è “La cucina. Storia culturale di un luogo domestico”, il volume firmato da Imma Forino, docente di Architettura degli Interni e Allestimento al Politecnico di Milano, che racconta l’evoluzione della cucina e del suo mondo, dai focolari primitivi alle tendenze contemporanee, attraverso il design, ma anche studi sociologici, antropologici e di genere, nei riflessi letterari e cinematografici. E che, a WineNews, spiega come “l’emergenza attuale ci costringe a vivere gli spazi domestici con un nuovo spirito, riprendendo o inventando attività che avevamo trascurato o tralasciato. Ben venga la lettura, anche di testi dedicati alla gastronomia e al vino, ma anche un ritorno più consapevole in cucina, pure ricordando l’autarchia delle famiglie del passato, abituate alle preparazioni casalinghe di pane, conserve e altri alimenti, perché i rifornimenti erano radi o distanziati nell’anno. È, del resto, quanto accade sin dai tempi più remoti in tutto il mondo: preparare, cucinare, conservare, accantonare per tempi migliori. Oggi può aiutarci a tenerci occupati e a sciogliere nel lavoro manuale, nella semplicità dei gesti, le paure per il futuro”.
Da puro nutrimento il cibo si è trasformato in complessa e raffinata operazione, in un “linguaggio” raffinato, e il luogo domestico a esso dedicato, la cui storia si intreccia a quella delle gerarchie sociali e familiari, seguendo i costumi e la mentalità di ogni epoca, oggi riveste un ruolo di primo piano. “La cucina è uno dei luoghi più simbolici della casa, sin dai tempi più antichi, anche se ha avuto molte trasformazioni: da centro sociale della vita contadina a spazio di servizio nelle case nobiliari o alto-borghesi, fino a “cella segregativa” o, viceversa, “comfort zone” della componente femminile della famiglia - racconta l’autrice del volume (Einaudi edizioni, pp. 458, prezzo di copertina 36,00 euro) - durante quasi tutto il Novecento, per le abitazioni del ceto medio o piccolo-borghese la cucina ha spesso sostituito il salotto, accogliendo nel proprio spazio il tinello, ovvero la possibilità di mangiare e soggiornare. Oggi confluisce sovente nell’ambiente del soggiorno, di cui rappresenta l’ideale continuità, perché luogo multifunzionale, non solo dedicato alla preparazione e al consumo del cibo, ma adatto a svolgere altre attività, dallo studiare a consultare il tablet, dal ricevere gli amici a leggere il giornale. È sempre di più un luogo centrale dell’abitazione, ma multi-sfaccettato rispetto al passato”.
Un tòpos domestico dalle molte sfaccettature, che oggi, grazie alla Tv e al web, è diventata una vera star: “l’ambiente della cucina di tipo professionale o semi-professionale è diventato luogo di agoni sempre più ambiti e apprezzati dal pubblico, cui va il merito della maggiore attenzione a ciò che si mangia che c’è da qualche anno in Italia. Ma la storia ci insegna che nel Rinascimento gli artefici più apprezzati erano i “cuochi secreti” di cardinali e principi, e il “segreto” dovrebbe continuare ad ammantare la complessità delle preparazioni, che gusteremo con i sensi. E alla lunga questa sovraesposizione del cibo può stancare, ma soprattutto distoglierci dall’impresa di prepararlo in casa. Non è causale che sempre più spesso ci si rivolga ai servizi di delivery food o si preferisca mangiare fuori casa, piuttosto che armeggiare tra pentole e fornelli”.
Resta il fatto che, anche in tempi difficili, ogni società, ogni epoca, ogni geografia ha la propria cucina da narrare nel privilegiato rapporto “ordinario” con la vita. “E ciascuna rappresenta un’affascinante microstoria - conclude la scrittrice - tutte simbolo del piú ampio racconto antropico, in cui siamo emotivamente quanto culturalmente coinvolti”.
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