Otto italiani su dieci avrebbero gradito di potere acquistare piatti d’asporto. Il dato, emerso da un’indagine del Centro Studi Fipe, rende l’idea del danno economico, nei soli giorni di Pasqua e Pasquetta quantificabile in 650 milioni di euro, dei pubblici esercizi italiani, dalle pasticcerie fino ai ristoranti, a cui è stata impedita anche la vendita per asporto di piatti pronti (ammessa invece per attività commerciali simili). Così, a causa delle misure restrittive in corso, oltre 6 milioni di italiani dovranno rinunciare al pranzo di Pasqua al ristorante, ma dovranno anche rinunciare alla consuetudine di acquistare qualche piatto speciale della tradizione pasquale, da consumare a casa, perché le norme nazionali vietano, solo per i pubblici esercizi, il servizio d’asporto.
L’unica alternativa praticabile rimane il delivery. Tuttavia solo il 14,5% dei ristoranti è attrezzato per questo servizio da quando è scoppiata l’emergenza Coronavirus. Per questo l’offerta non sarà in grado di fronteggiare la domanda. Di certo saranno sempre di più quelli che, a fronte della pressante richiesta dei consumatori, implementeranno il food delivery, attualmente l’unica fonte di ricavi per i pubblici esercizi. Trend in crescita confermato dai numeri di Ristoacasa.net, la vetrina digitale della ristorazione italiana lanciata da Fipe per aiutare gli imprenditori a sviluppare al meglio il servizio a domicilio, dando visibilità anche a chi per la consegna fa leva sulle proprie forze. La piattaforma conta, a pochi giorni dall’avvio, già quasi 1.000 attività di ristorazione e cresce al ritmo di 40-50 nuove iscrizioni al giorno.
“Migliorare il delivery - dichiara Lino Enrico Stoppani, presidente Fipe Confcommercio - è un modo per continuare a stare vicino ai clienti in un giorno importante come la Pasqua e anche per tenere vive le aziende. Allo stesso tempo ribadiamo che è necessario puntare con decisione al programma di riapertura dei pubblici esercizi, nel pieno rispetto delle misure di sicurezza dei Protocolli Sanitari che adotteremo, perché è a rischio, insieme a migliaia di posti di lavoro e di aziende, il futuro stesso della ristorazione italiana”.
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