Accanto all’Italia che ha combattuto in prima linea contro il Coronavirus (medici, infermieri, operatori sanitari, protezione civile …), un’altra fetta del Paese ha dato il suo contributo, tenendo aperte le fabbriche nel lockdown: tra queste, c’è anche l’industria alimentare, chiamata all’enorme responsabilità di garantire a tutti accesso al cibo durante l’emergenza e che, al pari di altri comparti strategici del made in Italy, non uscirà indenne da questa emergenza. Una ricerca del Dipartimento di Economia Aziendale dell’Università Roma3 commissionata da Unione Italiana Food (Uif) descrive, per la prima volta, l’impatto del Coronavirus sull’alimentare italiano. La ricerca, realizzata ad aprile, ha raccolto e analizzato i giudizi di 120 grandi, medie e piccole aziende alimentari aderenti a Unione Italiana Food (Uif), associazione di categoria che rappresenta 450 imprese di oltre 20 settori merceologici, campione che racchiude grandi marchi e Pmi radicate sul territorio, che rappresentano tanti simboli del made in Italy, dal caffè alla pasta, dal cioccolato ai gelati, dai prodotti da forno ai surgelati, fino a sottoli e sottaceti, salse, sughi e condimenti, minestre, alimenti per la prima l’infanzia, ortofrutta fresca confezionata, nettari di frutta e ortaggi, tè, infusi e tisane, spezie ed erbe aromatiche. E dal quale emerge, sostanzialmente, la situazione critica in cui verte il settore. Se hanno fatto notizia le immagini degli scaffali vuoti nei supermercati e i dati sulla crescita dei consumi alimentari domestici a marzo, soprattutto per alcune merceologie, oggi, a 60 giorni dall’inizio dell’emergenza, la ricerca offre uno spaccato più diversificato e in chiaroscuro.
Il 59% delle aziende alimentari, infatti, ha dichiarato di aver subito un calo della produzione rispetto ad una situazione di normalità, con punte, per una azienda alimentare su 4, di almeno il 30%. Circa il 60% delle imprese, quindi, stima un calo del fatturato per il 2020, che, per quasi un intervistato su 4, sarà superiore al 20%. Per una percentuale analoga (il 61% del campione), il Covid-19 avrà un impatto “elevato” o “molto elevato” sul suo futuro. Solo il 7% degli intervistati ritiene che attraverserà la crisi senza conseguenze. E se gli aspetti finanziari (posizione creditizia e debitoria, cash flow), di commercio estero, dei processi produttivi e di logistica, di marketing e innovazione di prodotto, di approvvigionamenti di materie prime sono gli ambiti dove l’impatto del Covid-19 si è finora sentito di più per le aziende dell’industria alimentare, guardando al futuro immediato, invece le preoccupazioni più urgenti riguardano soprattutto gli scambi con i mercati esteri (in entrata e in uscita), l’organizzazione del lavoro, la finanza e la gestione della rete vendita, tutte con valori superiori ai 3 punti in una scala di importanza da 1 a 5. Per fronteggiare il Covid-19, 8 aziende alimentari su 10 (79%) hanno promosso lo smart working. E se un’azienda su 3 (33%) ha aumentato la produzione, molte di più (53%) l’hanno ridotta o hanno limitato il numero di referenze (33%).
Interrogati sugli effetti economici a medio e lungo termine del Covid-19 sul loro business, più della metà degli intervistati guarda al futuro con preoccupazione. Per il 42% del campione gli effetti saranno “prevalentemente negativi, anche se temporanei”, mentre per il 13% saranno “molto negativi e duraturi”. E anche tra le aziende che hanno beneficiato dello scenario di un’Italia in quarantena (24,8%), quasi tutte sono convinte che l’impatto positivo sarà a breve termine e teme un calo futuro. Proprio oggi, in cui l’Italia si “apre”, almeno un po’, con l’inizio della “Fase 2”, più di 6 aziende su 10 (64%) stimano in 6-12 mesi il tempo necessario per tornare alla normale operatività. Ma c’è anche un 6% convinto che non si tornerà mai più alla situazione precedente. Conseguenza di uno scenario in continua evoluzione, più del 40% del campione afferma di non aver ancora chiaro quali misure adottare per il post Coronavirus, mentre il 32% dichiara che per difendersi punterà soprattutto sulla riorganizzazione “smart” del lavoro.
Su una cosa le imprese alimentari di Unione Italiana Food sono d’accordo: da questa crisi le aziende non usciranno solo con le loro forze. Interrogati sulle misure e gli ambiti di intervento utili a superare la crisi, quasi la metà del campione (44%) invoca un maggior supporto economico alle imprese, il 13% sgravi fiscali e l’11% chiede al Governo azioni per il rilancio dei consumi e il supporto alla filiera. “Purtroppo - afferma Marco Lavazza, presidente di Unione Italiana Food (Uif) - la chiusura degli esercizi del settore Ho.Re.Ca. come mense, bar e ristoranti, ha inciso profondamente sulle opportunità di mercato delle aziende che utilizzano in modo esclusivo o prevalente quel canale di vendita. Gli aumenti registrati per alcune categorie merceologiche nella Gdo non hanno compensato queste ingenti flessioni. Anche quanti hanno visto crescere fatturato e produzione, in molti casi hanno dovuto sostenere un aumento dei costi delle materie prime o della logistica che incide negativamente sull’andamento economico. Molte aziende quindi, soprattutto le più piccole, sono ora in seria difficoltà”.
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