Seduti in quei caffè, pur alle prese con vicende storiche e sociali che hanno contribuito a scrivere o che hanno raccontato nelle loro opere più famose, Stendhal e Wagner, Proust e Sartre, Hemingway e Wilde, Marinetti e D’Annunzio, Totò e i De Filippo, forse, non avrebbero mai immaginato che il mondo si sarebbe ritrovato nel nuovo Millenni di fronte ad un’emergenza come quella che stiamo vivendo per il Covid. Pagine di storia ed aneddoti, la cui memoria la pandemia e le sue conseguenze rischiano di stravolgere. “L’emergenza sanitaria provocata dal Coronavirus, che ha già sconquassato sia l’economia che il tessuto sociale del Paese, rischia di travolgere persino la nostra storia”, è l’allarme lanciato da Aldo Cursano, vicepresidente Fipe-Confcommercio, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi, perché “tra le attività maggiormente penalizzate da questo drammatico 2020 ci sono i caffè nati tra il XVIII e il XX secolo lungo tutta la penisola”. Luoghi d’incontro per artisti, intellettuali e politici che, seduti ai loro tavolini, tra un espresso e un amaro, hanno letteralmente scritto pezzi della nostra storia recente.
“Da Roma a Venezia, da Firenze a Napoli, il crollo dei flussi turistici sta mettendo in ginocchio queste attività - spiega Cursano - ma noi non possiamo permettere che questo accada. Questi non sono soltanto locali ma veri e propri monumenti: un patrimonio materiale e immateriale del nostro Paese che, come tale, è interesse di tutti quanti tutelare e difendere. Ecco perché è essenziale creare un fondo ad hoc per sostenere i caffè storici e prevedere una fiscalità dedicata che consenta un abbattimento della tassazione locale, Tari e suolo pubblico, e nazionale”.
Anche perché per questo tipo di attività, la crisi galoppa e i danni crescono esponenzialmente a causa dei costi altissimi che i gestori sono costretti a sostenere. “Oggi come oggi i nostri due caffè perdono complessivamente l’80% di fatturato - racconta Marco Valenza, titolare di Paszkowski e Caffè Gilli, locali storici nel cuore di Firenze - e non potrebbe essere altrimenti visto che il 90% della nostra clientela è sempre stata composta da turisti, italiani e stranieri, che attualmente sono impossibilitati a spostarsi. Ciò che però rende insostenibile la crisi sono i costi: da un lato abbiamo la responsabilità di 95 dipendenti e delle loro famiglie. Dall’altro dobbiamo fare i conti con affitti monstre”. Una situazione che accomuna buona parte dei caffè storici, i cui locali sono vincolati dal Ministero dei Beni culturali e questo rende necessario, per ogni tipo di intervento, ottenere il nulla osta della Soprintendenza. “Il paradosso - aggiunge Valenza – è che, nonostante sia interesse di tutti preservare questi luoghi, la manutenzione ordinaria e straordinaria è sempre a carico dei gestori. Come se non bastasse, quando si è deciso di abbattere l’Imu su questo tipo di edifici, ne hanno beneficiato i proprietari, ovvero chi vive di rendita, non certo chi li valorizza con il proprio lavoro quotidiano”.
“Quello che noi cerchiamo di fare nei nostri locali - spiega Massimiliano Rosati, patron del Gran Caffè Gambrinus di Napoli - è fornire un’esperienza ai nostri clienti. Per farlo abbiamo bisogno di fare investimenti massicci, in particolare sul personale: da me lavorano 40 persone, tutti professionisti di primissimo livello. Questo, come è ovvio fa lievitare le spese. Ma non si tratta di un costo, bensì di un investimento sulla qualità”.
Città diverse, dunque, ma problemi e obiettivi comuni. Ed ecco che, se la gestione dell’emergenza rimane la priorità per tutti, Raffaele Alajmo, alla guida di molti locali di Venezia tra cui il Caffè Quadri di Piazza San Marco, prova a fare un ulteriore passo in avanti. “Questa stagione è stata un disastro - spiega - nei mesi in cui abbiamo lavorato di più, luglio e agosto, abbiamo perso il 75% dei nostri fatturati, anche perché abbiamo rispettato al millimetro le prescrizioni imposte dalle misure di distanziamento. Il nostro plateatico è passato da 240 a 110 posti. I mesi estivi sono stati però solo una breve parentesi in mezzo a un anno che ci ha visto perdere l’85% dei volumi d’affari. Nessuna sorpresa - conclude - visto che solo l’1-2% dei veneziani frequenta il locale a fronte di un 98% di turisti. Un mondo che, quando tornerà, sarà comunque molto cambiato. Ecco perché noi dobbiamo aprire una discussione sul futuro dei caffè storici: come potremo risultare attrattivi tra 10 anni per gli under 30? Come potremo rendere sostenibile il nostro modello di business se prima non riusciremo a ridurre costi fissi e vincoli?”. Una riflessione di lungo periodo, sottolinea la Fipe, da avviare al più presto per dare un futuro ad attività che danno lavoro a migliaia di persone e garantiscono qualità all’offerta enogastronomica e turistica nazionale.
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