La maggiore attenzione alla salute in un’epoca di emergenza sanitaria e la più lunga permanenza tra le mura di casa hanno portato ad un vero e proprio boom del consumo del miele tra le famiglie italiane. Nei primi 9 mesi 2020, evidenzia il report “Tendenze” di Ismea, le vendite in volume sono cresciute del +13% e alla base di questo incremento ci sono i giovani e i giovanissimi, un’inversione di tendenza rispetto sia alla flessione degli acquisti dell’ultimo biennio e sia al ruolo trainante fin qui esercitato degli over 50, di reddito medio alto, a cui si devono normalmente oltre il 70% degli acquisti di miele.
A crescere non sono solo i consumi ma anche la produzione nazionale, che, nel 2020, secondo le stime Ismea-Osservatorio miele, dovrebbe aggirarsi sulle 17.000 tonnellate, in recupero del 13% sul 2019. Si tratta, comunque, di un livello molto al di sotto della capacità produttiva nazionale, che conta oltre 1,6 milioni di alveari (è il quarto Paese europeo dopo Spagna, Romania e Polonia) e che non basta a soddisfare la domanda di mercato: lo scorso anno il 60% di prodotto disponibile è stato di provenienza estera.
Sebbene si stimi un lieve recupero della produzione nazionale sul 2019, quindi, per la campagna in atto prosegue la tendenza negativa delle produzioni su gran parte del territorio nazionale. Molto eterogenee e complessivamente deludenti, tranne che per alcune eccezioni in specifiche aree vocate, le produzioni dei monoflora di punta sia per il Nord (l’acacia) che per il Sud (gli agrumi), annata pessima per la sulla. Ancora una volta le cause della mancata produzione sono da ricondurre soprattutto al cambiamento climatico, che influisce sulla disponibilità nettarifera delle piante, e al meteo incostante, con poche giornate favorevoli alla bottinatura. Condizioni che rendono necessario intervenire sempre più spesso con la nutrizione di soccorso con un aggravio dei costi di gestione dell’alveare.
Ma il cambiamento climatico non è comunque l’unica minaccia. Il 2020 fa segnare anche un altro dato negativo per quanto riguarda spopolamenti e morie di api riconducibili all’uso spesso improprio dei prodotti fitosanitari. Nei mesi primaverili ed estivi gli apicoltori hanno registrato gravi perdite connesse ai trattamenti con fitofarmaci, in particolar modo nelle zone con presenza di colture estensive monovarietali. Sembra sempre più difficile produrre mieli di tarda estate quali girasole, erba medica ed eucalipto, sia per motivi climatici e sanitari che per problematiche legate alle modalità di coltivazione e alla diffusione sempre maggiore di varietà non nettarifere. Altro annoso problema dell’apicoltura è rappresentato dagli attacchi di varroa, l’acaro parassita che vive a spese della colonia fino a determinarne, nei casi più gravi, la morte. Quest’anno un’infestazione sopra la media ha costretto molti apicoltori ad interrompere la produzione dei mieli estivi per intervenire tempestivamente con i trattamenti per il controllo del parassita. Questo trattamento straordinario si è aggiunto ai due che normalmente l’apicoltore esegue nell’anno, comportando un aumento dei costi di produzione non recuperati a causa della concomitante interruzione della produzione.
Non ultimo tra i problemi, a preoccupare gli apicoltori italiani è anche la concorrenza del prodotto estero: ogni anno entrano nel nostro paese oltre 20.000 tonnellate di miele estero (il 42% dall’Ungheria, principale fornitore) che, con i prezzi bassi, deprimono il mercato nazionale. Il prezzo del miele proveniente dalla Cina è di appena 1,25 euro al chilo e quello proveniente dai Paesi dell’Est è di poco superiore ai 3 euro al chilo, a fronte dei prezzi dei mieli nazionali all’origine che oscillano tra i 4,5 euro al chilo del poliflora e gli 8,5 euro al chilo dell’acacia.
Copyright © 2000/2024
Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit
Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024